23 apr 2013

Any Day Now


Sabato pomeriggio. 
La Poison, con un nuovo taglio di capelli ma con il solito vecchio colore, decide di spostarsi in città per vedere il film delle 14.15 che apre la giornata del GLBT film festival. Con un tempismo invidiabile, riesce a parcheggiare e ad uscire dall'auto nell'esatto momento in cui sulla città inizia a piovere a secchiate.
La Poison non usa l'ombrello. Non per qualche particolare motivo religioso o perché l'uso dell'ombrello faccia troppo borghese. Semplicemente perché ne è sprovvista. Il tempo di arrivare al cinema e i suoi capelli perfetti hanno assunto una conformazione tale da far invidia alla Medusa. In pratica ha passato tutta la mattina dalla pettinatrice per sembrare una che prima di uscire si è messa in testa lo scalpo di un bobtail. Bagnato.
Quando, in coda per entrare in sala, vedrà arrivare sua bionditudine biondissima, pettinatissima, liscissima, nonché ombrellatissima si farà assalire contemporaneamente dallo sconforto e dalla sindrome del brutto anatroccolo.
Ma, siccome dei suoi problemi tricologici frega niente a nessuno, se ne farà in qualche modo una ragione, tanto ormai il danno è fatto.
Il GLBT Film Festival è arrivato quest'anno alla sua 28esima edizione.
Cosa che nonostante la maturità acquisita, non gli impedisce di avere problemi organizzativi di un certo rilievo: il film dovrebbe iniziare alle 14.15, secondo il programma, e alle 13.55 una folla più o meno gaia si accalca in coda - sotto la pioggia - fuori dalla sala, perchè la cassa "non è ancora pronta". L'avete comprata all'IKEA e dovete montarla? Comunque alla fine si riesce ad entrare, e il film, con un quarto d'ora di ritardo, inizia.



Any Day Now (il titolo è parte del testo della canzone che Rudy Donatello, l'intenso personaggio interpretato dallo splendido Alan Cumming, canta sul finale del film) è un film di Travis Fine (oltre che regista è anche attore: lo si vede, ad esempio, per circoscrivere il campo a film che ho visto e amato, in "Ragazze interrotte" o "La sottile linea Rossa"), basato su una storia vera, ambientata a Los Angeles negli anni 70.
Rudy Donatello si esibisce come drag queen in un locale di West Hollywood. Una sera dopo il suo spettacolo conosce Paul (Garret Dillahunt), che lavora nell'ufficio del procuratore distrettuale. I due iniziano a frequentarsi. Tornato a casa, sentendo la solita musica a tutto volume provenire dall'appartamento della sua vicina di casa, entra nell'alloggio e si imbatte in Marco, ragazzino down che la madre tossicodipendente ha lasciato a casa da solo, per uscire con uno dei suoi amanti occasionali. La stessa sera la donna viene arrestata, e Rudy vorrebbe occuparsi del ragazzo, che i servizi sociali vorrebbero invece affidare ad un istituto. Ovviamente all'epoca, in California, i matrimoni e le adozioni gay non erano (ancora) contemplati, ma Rudy non si arrende, e, insieme a Paul inizierà una lunga battaglia legale per ottenere la custodia del bambino, dopo che la madre, inizialmente, acconsentirà ad affidarlo all'uomo.
Film delicato e toccante, riesce a far sorridere nonostante tutto, senza mai essere né patetico né pesante (anzi), e che ha vinto una manciata di premi qua e la in diversi festival e per il quale, indovinate un po', non è prevista una distribuzione italiana.
Peccato.
Se avete voglia, cercate di recuperarlo, perché ne vale la pena.


Ovviamente la giornata non finisce qua, e, dopo una consolatorio caffè con panna da Ghigo ci rimettiamo in coda per lo spettacolo delle 18.00. Ci raggiungono anche Dantès e splendidadonnadiDantès. Solito ragionevole ritardo, ma se non altro fa solo freddo e non piove più. Ci attendono due lavori di Travis Mathews. Il primo, è un mediometraggio (?) di 33', terzo episodio della serie web "In their room". Stavolta tocca a Londra, in cui, intervistati nell'intimità delle loro camerette, vengono raccolte le testimonianze di un gruppo eterogeneo di gay, dal ragazzino che cerca l'amore sul web al settantenne che ha iniziato a vestirsi da donna - e che (beato lui!) si sente ancora sexy - quando ancora era sposato e credeva di essere etero, passando per il ragazzo che si veste come se provenisse dal ghetto per darsi un tono, al mio preferito, quello con la stanza tappezzata di poster di Morrissey, che sembrava un clone di David Bowie ai tempi d'oro di Ziggy Stardust. Sempre di Travis Mathews, stavolta in coppia con James Franco, è la volta di "Interior. Leather bar", ovvero i 40 minuti che William Friedkin tagliò dall'edizione definitiva di Cruising, per evitare problemi con la censura. Franco e Mathews, tra documentario, finzione, making of, casting e backstage, ne ripropongono una rilettura fedele e apocrifa, vista soprattutto attraverso lo sguardo stupito e spaventato di Val Lauren, l'attore che interpreta Al Pacino, che non capisce esattamente il senso dell'operazione. Un'opera su tabù e stereotipi, omofobia e censura, erotismo e pornografia, e la loro evoluzione (o involuzione) tra ieri e oggi. 


29 commenti:

  1. AH! Alan Cumming! Che attore..Qual talento mercificato al trashumine spinto..
    Era bella,pero',la pettina..Peccato.

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    1. In questo film è splendido, davvero!

      Eh, peccato si! (Grazie!)

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    2. Si guadagna la pagnotta facendo meschinate senza ritegno,ma quando c'ha voglia (e rinuncia a scheccare troppo) e' un vero talentone. Vedi il suo Saturnino in Titus.

      E comunque la Legge citata da Julez e' sacrosanta.

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  2. sto cercando di immaginare come è un bobtail bagnato...da come dici sembra una roba brutta ....

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  3. La legge di murphy della parruccherìa: migliore sarà il risultato in salone peggiori saranno le condizioni meteo all'uscita.

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  4. Quindi vedi di far tornare la primavera, per favore.

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    1. Non penso di avere poteri simili...

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    2. Potresti tentare di non suscitare tanta invidia agli dei, mi rendo conto però sarebbe uno sforzo improbo.

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    3. Invidia? Ma quando mai? Gli dei mi ridono in faccia, lascia stare! :)

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  5. Lo segno subito. Mi piace, nonostante Alan Cumming. Grazie.

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  6. Ma come nonostante??!! Alan Cumming è bravissimo, tra l'altro canta benissimo, il suo Eli Gold in The good wife è strepitoso.
    Del mediometraggio la cosa migliore erano i poster di Morrissey nella stanzetta!

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    1. Tiz, esiste la remota possibilità che possa non piacere a tutti! :)

      Il mediometraggio era abbastanza inutile, in effetti...

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    2. Beh in effetti non piace a Bombus Lapidarius, questo è certo! ;-))
      E non che il film di James Franco fosse un capolavoro, ma meglio dei suoi corti dell'anno scorso, che erano, a parlarne bene, schifosi.

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    3. eh, puLtroppo i corti dell'anno scorso me li sono persi.
      ti dirò, io l'ho trovato interessante, partendo dal concetto di libertà di cui parlava J.F. mentre cercava - inutilmente - di spiegarlo a Val Lauren.

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    4. Fidati, erano urfidi! :-(

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    5. Ehhhh,quanto ne capisce la Tiz!

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    1. Credo che andremo al buffet Creolo e, incidentalmente, ascolteremo un po' di Jaaaassss... :-))

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    2. Mi piacciono molto più gli acronimi del Jazz, in effetti. Che dopo 5 minuti che l'ascolto riesce a scatenare in me i più turpi istinti omicidi.

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  8. Ok mi hai convinto.
    (Non per i capelli, per il film)

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  9. A me hai convinto sia per i capelli (adoro!) sia per il film :)

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    1. Il film merita davvero, Violet.
      I capelli (purtroppo) hanno avuto vita breve, ma grazie comunque! :)

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