Dopo quattro giorni in casa con madre singhiozzante, ieri andare a Milano al funerale di mia zia mi è sembrata una liberazione. Lo so che detta così sembra brutta e fa di me una persona orribile. Non orribile al punto di dirvi “provate voi!”, perché non vi voglio male fino a questo punto. Giovedì pomeriggio la telefonata di mia cugina mi aveva avvisato che le condizioni di salute della zia si erano aggravate in maniera drammatica, e difficilmente sarebbe arrivata a natale. Ho pensato subito all'altra mia cugina, sua figlia, che compie gli anni il 26 dicembre. E ho sperato che, per quanto può valere, la vita, o meglio, la morte, le risparmiasse un regalo così macabro e beffardo. Così è stato. Venerdì pomeriggio, mentre mi aggiravo controvoglia tra le corsie del supermercato, hai ricevuto la sua telefonata, quella che tanto ormai lo sapevi che sarebbe arrivata.
E con lei che se n’è andata così in fretta, hai esaurito la tua riserva di zie. Lei mi piaceva, carattere schietto e piglio deciso. Ti diceva le cose senza girarci attorno. E mi chiamava “belè”. Come solo una zia milanese sa fare...
Torni a casa, e avvisi madre singhiozzante. Le chiedi se, quando sarà, verrà al funerale. Inizia a dirti no, che non riesce a camminare, che fa freddo, che non sta bene, che il mondo è quadrato e saltella e che lei non se la sente. Decidi che non è il caso di insistere, e cerchi di porre fine alla prima giornata di riposo forzato. Te ne mancano tre.
Il sabato è trascorso, sempre troppo lentamente. Il giorno di natale passi il pomeriggio a casa della Lu, con caffè e tiramisù e passeggiata di 10 km su strade di campagna. Il lunedì guardi la tua orchidea, ormai agonizzante (che quando dicevo che difficilmente sarebbe arrivata a natale mica lo dicevo tanto per dire...) e decidi di uscire. Provi ad avvicinarti al castello di Rivoli, ma la scarsità di parcheggio ti fa cambiare destinazione. Vai alla GAM, dove avrai modo di vedere “Firmament”, un’esposizione di James Brown (non il cantante, suppongo) che ti affascina. Torni a casa. Per l’occasione sfoggi un nuovo raffreddore, molto più fastidioso del precedente. Mandi un messaggio alla tua collega, chiedendole se l’indomani può andare in ufficio al posto tuo, visto che tu non potrai esserci. Prima di addormentarti scambi un po’ di pensieri a distanza con la sister, che riesce pure a farti sorridere. E il giorno dopo, parti presto, per andare a Milano. Il tuo cuginetto di 189 centimetri ti accompagna alla camera mortuaria dell’IRCCS, saluti zio, cugina ed inutile marito di quest’ultima. Che già avere un finanziere in famiglia ti provocava irritazione, vederlo indossare un incommentabile stivaletto in vernice ti fa sperare in una prossima separazione. Torni a casa, pranzate e nel pomeriggio vi avviate verso il paese dello zio, per la cerimonia funebre. Saluti un po’ di parenti che non vedevi da anni, spiegando a chi ti guarda con curiosità che sei la figlia della Dina, e tutti a dirti “somigli proprio alla tua mamma”, che, allo stato attuale, non è che ti faccia esattamente piacere. Prima di tornare a Milano passate a “salutare” nonna Agnese e nonno Giovanni, che sono anni che non andavi in quel cimitero. E poi, visto che sei in pieno tripudio amarcord, prima di tornare a casa decidi di fare una deviazione a Sesto San Giovanni, per salutare la tua ultima ex suocera.
No, non la megera che mi definiva “chillallàthutthasofisthicatha”.
Trovo parcheggio proprio sotto casa, e suono il citofono. Quando sente chi sono quasi non ci crede. Mi chiede se deve scendere a prendermi, ma le dico che ho ancora le chiavi dell’ascensore (del resto io e suo figlio ci siam lasciati da appena 9 anni, perché liberarsene?) e salgo.
E’ davvero felice di vedermi e mi racconta tutto quello che è successo negli ultimi tempi. Anche questa volta non esita a dirmi che io sono l’unica donna che andava bene per suo figlio e lo so che non lo dice per compiacermi. Infatti, quando arriva suo figlio (nonché ex moroso) lo dice anche a lui.
Torno a casa e posso andare a dormire, sapendo che domani (oggi) sarà finalmente un altro giorno.