29 gen 2018

Call me by your name


Vi ricordate di me? Sono la blogger cinematografica (ah ah ah) meno affidabile del world wide web. 
Il problema, se vogliamo definirlo un problema, è che ultimamente mi manca l'ispirazione per parlare dei film che vedo. e, a parte scrivere - e nemmeno sempre - due righe sintetiche su facebook. poi mi passa la voglia di dilungarmi in inutili pipponi inconcludenti. 
Anche perché, diciamolo, difficilmente si sarà sentita la mia mancanza.
Ma, siccome sono un'inguaribile ottimista, anche se non lo leggerà nessuno, ho deciso di scrivere un post sul film di Luca Guadagnino, che, come tutti sanno, è stato candidato a ben 4 oscar: miglior film, miglior attore protagonista, miglior canzone, miglior sceneggiatura non originale.
Sono tutti meritati? Mah. Meh. Boh.
Sicuramente il giovane Timothée Chalamet è bravo, ma non azzardo pronostici, in quanto al momento, dei cinque candidati ho visto solo la prova di un immenso Gary Oldman.  La tentazione di recuperare Get Out a questo punto è davvero tanta, anche se la mia idea è che i membri dell'Academy  l'abbiano inserito all'ultimo minuto quando si sono resi conto che candidare James Franco e The Disaster artist era unthinkable. Io me li immagino, a guardarsi con l'aria smarrita e chiedersi "e mo' che cazzo famo?" 



Non pensiate che durante la mia latitanza io sia diventata buona e accomodante. 
Giammai.
Quindi, ancora una volta, vi dico che questo film va visto in lingua originale, Perché la versione doppiata, con tutti che parlano in italiano, persino Mafalda, non si può vedere. 
E tanto meno ascoltare.
Detto ciò, il film di Guadagnino è meno algido e snob dei suoi precedenti, ed è molto delicato. Lungi dall'essere un capolavoro - per quanto mi riguarda - è una classica storia di formazione che potremmo tranquillamente aver visto durante il festival nato nel 1981, che all'epoca si chiamava "da Sodoma a Hollywood" e che negli anni è diventato "lovers film festival".
E proprio negli anni 80, (1983) in qualche imprecisata zona del nord italia, inizia la storia di Elio ed Oliver.
Tra parentesi, nemmeno così imprecisata, essendo ambientato principalmente nel cremasco, zona a me familiare in quanto ci nacque mia mamma. Che, ancora tra parentesi, si chiamava Pasquina, come l'amica che aiuta la Mafalda a fare i tortelli. Credevo che solo mia mamma avesse quel nome del cazzo. Evidentemente a Cremona la pensavano diversamente.



Comunque, siamo appunto nella provincia Cremonese, nell'estate del 1983. Come ogni anno, il professor Perlman e la sua famiglia (di ebrei con discrezione) trascorrono l'estate nella grande (e bellissima) villa di famiglia. E, come ogni anno, il professore invita uno studente a trascorrere con loro un periodo di sei settimane, per aiutarlo nella tesi.
Elio, il figlio diciassettenne, attende quell'arrivo con una punta di fastidio, in quanto sa che per le prossime sei settimane dovrà cedere la sua camera all'ospite, che infatti chiama "l'usurpateur".
Ma.
Nell'estate del 1983 ad "usurpare" la sua camera (e non solo quella) arriva Oliver: bello, affascinante, disponibile, disinvolto. insomma, adorabile.
E infatti è adorato da tutti, a cominciare proprio da Elio, che scopre nei confronti dell'americano una forte attrazione. che maschera inizialmente (non lo abbiamo forse fatto tutti?) con indifferenza e strafottenza. Tra lunghi giri in bicicletta, passeggiate nei prati, nuotate negli stagni (momento in tutti i luoghi in tutti i laghi) e lunghe discussioni sul senso della vita, a un bel punto Oliver capisce (come lo capiscono i signori Perlman) e tra i due nasce - anzi, diciamo esplode - una passione travolgente che Guadagnino riesce a trasmettere senza mai mostrare troppo, o, più che altro, decidendo di mostrare altro. Che sia il monumento ai caduti nella piazza del paese, o le foglie degli alberi.
Ma come tutte le cose, anche le sei settimane finiscono. E, nonostante quegli ultimi giorni trascorsi a rincorrere il vento, a chiedersi un bacio e volerne altri cento, Oliver torna alla sua vita, lasciando Elio a vivere la sua.

"Kiss me" "Later"
Personalmente avrei dato qualche sforbiciata qua e là, che due ore e dieci sono un po' troppe, per quello che il film ha da dire, in quanto ci riuscirebbe benissimo anche con venti minuti di meno. Ma, a parte questo, il discorso che il padre di Elio gli fa alla fine, è una delle cose più belle del film. E sarebbe bellissimo se ogni genitore fosse così illuminato da accettare l'orientamento sessuale del figlio senza doverne fare una tragedia. Ma l'ho detto all'inizio, sono un'inguaribile ottimista.


E, siccome oltre che ottimista sono pure anziana, della tanto decantata colonna sonora, il mio pezzo preferito non è Mistery of love, bensì Love my way.