16 ott 2015

Viaggio in Thailandia.
La partenza.
E l'arrivo.

Quest'anno arrivare al 21 settembre, avendo alle spalle soltanto un paio di week end lunghi, è stato un po' faticoso, ma, finalmente, è arrivato anche il giorno della partenza.
Il nostro volo parte alle 16.00, quindi partiamo con tutta calma, raggiungiamo il parcheggio scelto senza problemi, non è vicinissimo al Terminal 1, ma il prezzo ridicolo (46€ per tre settimane) compensa ampiamente i 10 minuti di transfer con la loro navetta. 
Abbiamo già fatto il check in online, quindi dobbiamo soltanto lasciare i bagagli. 
Operazione che ci porta via - a esagerare - ben 5 minuti, in quanto al banco drop-off non c'è nessuno.
Pranziamo con un bagel e raggiungiamo il gate.
Il volo parte in perfetto orario.
Quando iniziano a distribuire il pranzo la hostess chiede ai ragazzi seduti dietro di noi: "Beef or chicken?" Uno dei due risponde "Yes!", mentre l'altro si preoccupa di chiedere se è gratis... 
Arriviamo a Doha, abbiamo due ore e mezza di tempo priima del volo che ci porterà a Bangkok.
Perdiamo tempo nei vari duty-free, poi riusciamo a trovare un PC e facciamo il check in per il volo della Bangkok Airways che ci porterà a Koh Samui,  quindi ci imbarchiamo sull'Airbus 380 (vi ho già detto che è una roba enorme?) e dopo altre sei ore di volo atterriamo a Bangkok.
I nostri bagagli escono quando sul display è già apparsa la scritta che informa che quello è l'ultimo giro, e noi iniziavamo a perdere le speranze di vederli arrivare. Chiediamo ad un poliziotto dov'è l'imbarco dei voli domestici e lo stronzo ci accompagna in un ufficio e ci fa ispezionare i bagagli.
E allora dillo che sei scemo.
Lo ringraziamo per il trattamento, raggiungiamo il banco del check in, imbarchiamo le nostre borse e andiamo alla ricerca di un ATM. Prima preleva la bionda, poi io. L'infernale macchinetta mi dà i soldi, poi il monitor diventa nero e si blocca. Con la mia tessera dentro.. 
Fortunatamente il bancomat è vicino ad una specie di sportello bancario con tanto di impiegato, a cui spiego il mio problema. Mi dice di attendere, e dopo un po' arriva il SanPietro del Suvarnabhumi, che apre il bancomat, mi fotocopia il passaporto, mi fa firmare una ricevuta e mi restituisce la mia tessera. 


Possiamo quindi salire sul nostro ultimo volo che - finalmente - ci porterà a destinazione.
Ci ricongiungiamo con i nostri bagagli e usciamo dall'aeroporto (anche se uscire non è il termine esatto, dato che l'aeroporto di Koh Samuii è praticamente all'aperto). 
Comunque usciamo. 
IN TEORIA ad attenderci dovrebbe esserci qualcuno dell'hotel in cui passeremo la notte.
IN PRATICA c'è un mondo di gente con fogli con i nomi di tutti quelli che sono appena atterrati. 
Tranne il nostro.
Un tizio mi chiede se io sia davvero sicura di non essere Mary Elisabeth Bennett, ma a giudicare dalla sua espressione quando gli dico che no, non sono Mary Elisabeth, è chiaro che non mi crede. 
Aspettiamo tre quarti d'ora. Quando non è rimasto più nessuno ed ormai è chiaro che nessuno ci verrà a recuperare capiamo che dobbiamo prendere un taxi. Carissimo, fra l'altro.
Con 600 baht (che sono quasi 15€, uno sproposito per gli standard thailandesi) raggiungiamo Mae Nam Beach, nel nord dell'isola, e il nostro hotel, che si affaccia direttamente sulla spiaggia.
Il proprietario (di origine Corsa) ci accoglie chiedendoci cosa vogliamo da bere. Prendiamo la nostra prima birra thailandese e ci accomodiamo in veranda. Gli spiego che in aeroporto non c'era nessuno ad aspettarci come promesso, e lui, per farsi perdonare, ci fa un upgrade di stanza, spostandoci dalla camera "standard" a quella "prestige" che ha una grande vetrata angolare vista mare.

Posiamo i bagagli in stanza e scendiamo in spiaggia. E' ormai pomeriggio inoltrato, è lunedì, siamo in giro da non so nemmeno più quante ore, ma almeno 24, facciamo una passeggiata sul bagnasciuga, l'acqua ha una temperatura splendida, praticamente è tiepida.
Ci facciamo una doccia e andiamo a mangiare nella via dell'hotel, dove non manca la scelta di ristoranti. Ce n'è anche uno... svizzero.
Adesso, voi ditemi se vi è mai capitato, in giro per il mondo, di imbattervi in un ristorante svizzero, fuori dai confini svizzeri. A me no.
Comunque nel dubbio entriamo in un ristorante thailandese, ordiniamo un piatto di noodles, e andiamo a dormire.
Quando mi sembra di aver dormito 10 ore mi alzo, guardo l'ora e scopro che...sono appena le 23.30.

15 ott 2015

Film in volo

La scelta dei titoli sui voli di Qatar Airways è sterminata. Dalle prime visioni ai classici, oltre ad un sacco di titoli bollywoodiani e una caterva di film orientali, per non parlare dei film per bambini, le serie tv e non so che altro. Credo manchino solo i porno. 
Come spesso capita quando c'è troppa scelta, come nei ristoranti con i menu di settordici pagine, ero davvero indecisa e ho finito per guardare fondamentalmente roba non troppo impegnata, perchè si sa, il film "da aereo" vuole leggerezza.
E così fu che la poison si diede al recupero di alcune pellicole sfuggitele negli ultimi tempi, cominciando da

PITCH PERFECT (aka "Voices)
Commedia teen-musicale con protagonista Anna Kendrick nel ruolo di Beca, che arriva alla Bardem University con l'intenzione di abbandonarla il più in fretta possibile per trasferirsi a L.A. e diventare una DJ. Invece finisce per entrare nel coro a cappella delle Bardem's Bella, il cui obbiettivo è arrivare all'esibizione al Lincoln Center di New York dove ogni anno si disputa la gara tra cori dei vari college americani. 
Prevedibile e leggero, regala qualche risata - grazie soprattutto a Rebel Wilson - la solita razione di buoni sentimenti e parecchie esibizioni canore.

PITCH PERFECT 2

Mi piacerebbe davvero raccontarvi qualcosa di questo film, ma ammetto che dopo 10 minuti ho iniziato ad annoiarmi e ho lasciato perdere per dedicarmi ad una sana pennica aerea.

TRUE STORY
Ma tu pensa, un film con James Franco.
E che fai, non lo guardi? Saranno almeno due settimane che non ne vedo uno!
Anche perché non mi pare - ma potrei sbagliarmi - che in Italia sia uscito, né che sia prevista una sua uscita imminente. 
Il film, diretto da Rupert Goold, è interpretato, oltre che da James Franco, da Jonah Hill, Felicity Jones e altra gente semisconosciuta, mentre fra i produttori figura Brad Pitt, che con Hill aveva già lavorato nel 2011 in Moneyball. E' tratto - incredibilmente - da una storia vera, casomai dal titolo vi fosse sfuggito, e racconta di Michael Finkel, reporter del New York Times che un bel giorno viene licenziato e tenta inutilmente di trovare un nuovo lavoro, finché riceve una telefonata dove gli parlano di Chris Longo, uno dei maggiori ricercati dell'FBI in quegli anni (inizio 2000), che, al momento della sua cattura, avvenuta in Messico, ha detto di chiamarsi Michael Finkel. 
Il vero Finkel, curioso di scoprire perchè Longo - accusato di aver ucciso sua moglie e i suoi tre bambini - abbia assunto la sua identità, gli scrive, e Chris accetta di incontrarlo e di raccontargli tutto, a patto che il giornalista gli insegni a scrivere. Ha così inizio un sottile gioco psicologico tra i due uomini, fatto di verità e menzogne, fino al giorno del processo.
Storia indubbiamente interessante, ma gli manca quel certo non so che che ti fa arrivare alla fine non del tutto soddisfatta. In due parole, film dal potenziale inespresso.

THE HEAT (Corpi da reato) 

Lo ammetto. 
Ho riso come una deficiente.

deficiente
de·fi·cièn·te/
aggettivo e sostantivo maschile e femminile
  1. 1.
    aggettivo
    Notevolmente scarso sul piano della disponibilità o del rendimento; part., di scolaro insufficientemente dotato o preparato.
  2. 2.
    sostantivo maschile e femminile
    Persona totalmente o parzialmente minorata sul piano intellettuale; com., cretino, scemo, con una vena di compatimento ( è un povero d. ) o come epiteto offensivo ( sei un d.! ).

Classico buddy-movie in versione femminile con Sandra Bullock detective dell'FBI prima della classe, perfettina, precisina, pignola, spaccacoglioni, insopportabile e antipatica a tutti e Melissa McCharty agente della polizia di Boston sboccata, volgare e dai modi spicci, insomma, un po' come me ma vestita peggio. Quando la prima viene mandata a Boston a seguire un'indagine, si ritroverà suo malgrado a dover lavorare in coppia con l'agente di Boston, ma nessuna delle due è abituata (né capace) a lavorare in coppia, e inizialmente i rapporti tra le due non sono esattamente distesi. 
La trama è ovviamente superclassica e prevedibile, ma le due ore in aereo sono davvero volate.
Ah.
Ah.
Ah.
Sì, lo so, sono scema.

FAST & FURIOUS 7


Non ho potuto, saputo, voluto resistere.
La saga di F&F, giunta al settimo (e immagino ultimo, vista la prematura dipartita di Paul Walker, ma non ci giurerei) capitolo regala due ore abbondanti di godimento puro. Se siete dei tamarri vi piace il genere. 
E se vi piace credere un po' a qualunque cosa, tipo che le macchine volano e che le sospensioni sono indistruttibili, o altre cose sullo stile, tipo che non muore mai (quasi) nessuno.
I nostri eroi sono tornati ognuno alle proprie vite, quando arriva bello bello Giasone nostro nei panni del fratello della buonanima di Owen Shaw, e per iniziare a far capire chi è mi manda all'ospedale l'agente Hobbs. Ma che, si fa così?
Shaw vuole ovviamente vendicarsi di Toretto & family, e, dopo aver mandato Hobbs all'ospedale informa Dom - con un pacco bomba proveniente da Tokyo  che gli distrugge casa - che Ham è morto. E si mette in moto la baracca, con Dom che riunisce la squadra per dare la caccia a Deckard Shaw, non prima di aver fatto un salto a Tokyo a recuperare il corpo di Ham, e, con l'aiuto di Mr.Nobody Kurt Russel (call me Nobody?) che li aiuterà a catturare Shaw se la famiglia recupererà l'occhio di Dio, i nostri partono. Destinazione Caucaso, poi un giro veloce ad Abu Dhabi (che se si fermavano una settimana in più la radevano al suolo) e ritorno a L.A. per lo scontrone definitivo con Hobbs che decide che è giunta l'ora di togliersi il gesso e tornare a lavorare per poi arrivare al gran finale con la famiglia riunita che guarda Brian e Mia (di nuovo incinta) giocare sulla spiaggia col figlioletto.
E, dopo esserti divertita per due ore, arriva puntuale anche la lacrimuccia.









INSIDE OUT
Vi ho mai detto che sono una brutta persona?
Lo ripeto, perché, dopo aver letto "capolavoro" un po' ovunque, mi sono messa a guardare anche l'ultimo film della Pixar. e, fra Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto, al ventesimo minuto di me si è impossessata Noia.
Come?
Non è una delle protagoniste?
Lo dite voi.

12 ott 2015

oh, il sonno.

Buongiorno (buonasera, forse).
Sono tornata. 
Sabato mattina. Alle 6.30.
A quell'ora all'aeroporto di Malpensa faceva freddino.
Per una che ha passato le ultime tre settimane sudando parecchio non è stato molto piacevole.
Soprattutto perché ho dimenticato la sciarpa sull'Airbus A380 che mi ha portato da Bangkok a Doha, che, a memoria, credo sia l'aereo più enorme su cui sia mai salita. E che, anche in Economy, è incredibilmente spazioso.  


Sciarpa che ho prontamente richiesto al servizio lost and found della Qatar Airways e che ieri è arrivata negli uffici Qatar di Milano Malpensa. E che, molto probabilmente, tra un paio di giorni tornerà in mio possesso. 
Sono commossa.
Tra un paio di giorni spero di tornare in possesso anche del fuso orario italiano, visto che al momento sono ancora settata su quello thailandese e adesso, che qua sono le 18.00 ma in Thailandia sono le 23.00, ho un sonno maiale e sto rischiando di slogarmi la mandibola ad ogni sbadiglio.
Il viaggio è andato bene, e anche il tempo è stato clemente, la pioggia ci ha "disturbato" un pomeriggio, mentre eravamo placidamente spalmate in spiaggia a Koh Samui da meno di un'ora. 
Con nostro sommo disappunto abbiamo dovuto andarcene e trovare rifugio sotto un porticato - pioveva davvero fortissimo - per una mezz'ora abbondante, salvo poi trasferirci in un bar a farci una birra - un vero sacrificio, naturalmente - in attesa che smettesse di piovere. Metti mai che ci spettinassimo.
Poi ogni tanto venivan giù quattro gocce che non ci hanno mai dato veramente fastidio. 
Quindi, direi che anche questa volta non mi posso lamentare.
I voli - sia gli intercontinentali sia gli interni - sono stati puntuali, i bagagli ci hanno sempre seguito, e anche durante gli spostamenti in bus e in treno (abbiamo viaggiato in terza classe, più pulita e confortevole di certi convogli nostrani) non abbiamo avuto alcun problema.
Le strade sono generalmente in buono stato e il traffico è molto meno caotico rispetto al Vietnam, e anche attraversare la strada non è così complicato. So che fare confronti non ha molto senso, ma avendo visitato il Vietnam l'anno scorso. la cosa ci veniva spesso spontanea. Anche il numero di motorini non è nemmeno lontanamente paragonabile.
Il Vietnam in compenso è (ancora) più economico della Thailandia, e la cucina vietnamita vince a mani basse il confronto con quella thailandese. Almeno, per i miei gusti.
Il cibo thailandese può essere o piccantissimo o dolciastro. Oppure, in alternativa, contemporaneamente dolciastro e piccantissimo. Talvolta pepato, agliato sempre e comunque, insipido spesso. Roba che una settimana va bene, due sopporti, alla terza inizi a prendere in considerazione l'idea  di entrare da Burger King. 
Non l'abbiamo fatto, anche se un paio di volte siamo andate al giapponese e una volta (a Bangkok) in un vietnamita con piatti tipici della zona di Hue. 
I venditori non sono insistenti, un po' di più i conducenti dei tuk-tuk, ma niente di drammatico, e generalmente le persone sono gentili, spessissimoo sorridenti. 
E il sorriso è contagioso.

4 ott 2015

saluti da Ayutthaya

Che si pronuncia con l'accento sull'ultima a.
Il viaggio volge al termine, questa è la penultima tappa, domani ci trasferiremo a Bangkok e da lì torneremo in Italia dove, mi dicono, sta già facendo parecchio freddo.
Qua la temperatura scende a 25 gradi quando siamo in camera con l'aria condizionata accesa, per dire.
E  niente, sono solo passata a salutare e a togliere un po' di polvere prima del ritorno...
A presto! 

21 set 2015

Viaggio in Thailandia

Sono in Thailandia.
O forse non ci sono ancora arrivata, non lo so, ho sempre avuto problemi con i fusi orari.
Soprattutto perché questo post l'ho scritto mercoledì pomeriggio in ufficio. 
In ogni caso, quando voi leggerete, se non sono ancora fisicamente in Thailandia, sto per arrivarci.
Là (qua?) in questo periodo ci sono +5 ore di differenza così mentre voi farete colazione io starò pranzando, o forse no, era solo per rendere l'idea. 
La stagione non è propriamente la migliore per visitare questo paese, in quanto settembre è periodo di piogge un po' ovunque, ma siccome qualcuno ha detto "non può piovere per sempre" noi abbiamo rischiato. In ogni caso le temperature non scendono dovrebbero scendere mai sotto i 20 gradi.

Starò via quasi tre settimane, e il nostro itinerario parte dalle isole del Golfo di Thailandia, con la visita di Koh Samui, Koh Tao e Koh Phangan, quindi con un volo interno saliamo a Chiang Mai, nel nord del paese e da lì, tra escursioni a Chiang Rai e nel triangolo d'oro (o di fango, a seconda del clima che troveremo) inizieremo a scendere verso Bangkok, fermandoci a Sukothai e Ayutthaya e senza farci mancare una passeggiata sul ponte sul fiume Kwai
Non credo che riuscirò ad aggiornare il blog, ma dovessi incontrare un PC sul mio percorso, come era successo l'anno scorso in Vietnam, probabilmente ne approfitterò per scrivere due cagate. 
Sicuramente, wi-fi permettendo, imperverserò su Instagram, come mio solito. 
Qua ci si rilegge dopo il 10 ottobre. 


18 set 2015

Per amor vostro

È sempre cos’e nient.
Tutte le situazioni così l’abbiamo risolte: è cosa ’e niente, è cosa ’e niente.
Non teniamo che mangiare: è cosa ’e niente.
Ci manca il necessario: cosa ’e niente.
‘O padrone muore e io perdo il posto: vabbuo’ cosa ’e niente, cosa ’e niente.
Ci negano il diritto della vita: è cosa ’e niente.
Ci tolgono l’aria: vabbuo’ che vvuo’ fa’, è cosa ’e niente. Sempre cosa ’e niente.
Quanto sei bella. Quanto eri bella. E guarda a me, guarda cosa sono diventato.
A furia ‘e ddicere “è cosa ‘e niente” siamo diventati cos’e nient io e te.
Chi ruba lavoro è come se rubasse danaro.
Ma se onestamente non si può vivere, dimmi, dimmi “vabbuò è cos’e nient.
Non piangere è cos’e niente.
Se io esco e uccido a qualcuno è cos’e nient.
E se io impazzisco e finisco al manicomio e ti chiedono 
perché vostro marito è impazzito tu devi dire: è impazzito per niente. 
È cos’e nient.
È niente. 
È sempre cosa ’e niente.

Per amor vostro ho visto questo film, con le mie compagne di sventura, fondamentalmente incuriosita dalla Coppa Volpi ancora tiepida appena vinta dalla Golino a Venezia e poi perché, a leggerne su carta, la storia sembrerebbe anche potenzialmente interessante. 
Non ho visto nessun altro film "veneziano", ma posso dire che Valeria Golino in questo film è senz'altro brava.
Punto.
Poi sicuramente ci sarà chi, vedendo questo film, urlerà al capolavoro.
Non io. 
Non la tiz. 
Non sua bionditudine.
Io volevo urlare e basta. Ho trovato questo film gradevole come un clistere di sabbia. 
Poco fa ho letto una recensione, e ho trovato la frase: "dramma familiare onirico, attraversato da una costante aurea di metafisicità mai troppo avulsa dal profano".
Ecco. 
Dell'onirico e della metafisicità io ne facevo davvero volentieri a meno.
Perché, se posso tollerare l'introduzione cantata in cui ci viene spiegata la vita di Anna (ca tene a capa sciacqua) e di tutta la sua famiglia, di tutti i suoi passaggi sull'autobus dove si indugia sui volti di ogni singolo passeggero, e il pavimento del mezzo viene invaso dall'acqua, di tutte le volte che lei si affaccia al balcone della cucina e il cielo si riempie di minacciose nuvole nere ecc. ecc. ecco, anche no, grazie. 
Perché per raccontarci la storia di questa donna, cresciuta in una famiglia dove tutto quello che succede o è successo in passato si riduce a 'na cosa 'e niente (come diceva già Eduardo De Filippo, nel monologo che ho inserito a inizio post), e lei - per amore dei suoi figli - ignora (o finge di ignorare) come suo marito si guadagna da vivere, fino al momento in cui trova un lavoro "onesto" e decide che non può più sopportare tutto il resto, c'erano sicuramente altri modi. 
Sicuramente molto meno pretenziosi.
Per amor vostro? 
'a cosa 'e niente.



17 set 2015

Dove eravamo rimasti

Eravamo rimasti che è settembre, andiamo, è tempo di migrare. 
E infatti io domenica "migrerò" in Thailandia. 
Ma questa è un'altra storia.


Dove eravamo rimasti è l'ignobile titolo italiano dell'ultimo ignobile (abbastanza) inutile film di Jonathan Demme, sceneggiato da Diablo Cody ed interpretato da Meryl Streep, che io ho visto la settimana scorsa esclusivamente perchè al Centrale è uscito in v.o.  e di cui adesso vi vado a parlare, probabilmente con qualche spoiler, anche se non vi dirò chi è l'assassino.
Sì, lo so, Meryl Streep è bravissima e bla bla bla, e io me ne rendo conto che è bravissima, eh? Ma a me non piace particolarmente, nonostante la sua innegabile bravura.
Il titolo originale è Ricki and the Flash, e non sto dicendo che sia un titolo bellissimo, per carità, ma almeno non ti porta ad immaginare chissà che. a differenza del "nostro".
Detto ciò, Meryl Streep in questo film oltre a sfoggiare un'acconciatura improponibile e un look da cantante rock tamarra, interpreta Linda Brummel, che ha abbandonato marito e figli nell'Indiana per tentare inutilmente la fortuna in California col nome d'arte di Ricki Randazzo, con cui, assieme al suo gruppo (The Flash) si esibisce - sembrerebbe - sempre nello stesso locale, e, fra un concerto e l'altro riceve la telefonata dell'ex marito che la informa che la loro figlia è stata abbandonata dal marito e quindi è molto depressa.
La nostra Ricki indossa la divisa da madre premurosa e, nonostante non abbia un dollaro, torna ad Indianapolis, dove, oltre a rimettere in qualche modo in sesto la povera ragazza  (nello specifico la vera figlia della Streep, Mamie Gummer, che se la cava più che dignitosamente), rivedrà i due figli maschi, uno dichiaratamente gay e l'altro prossimo alle nozze a cui lei facilmente non verrà invitata.
Fra una canzone e l'altra succedono cose abbastanza inutili, dalle canne con l'ex marito all'inevitabile confronto/scontro con la di lui nuova compagna, con contorno di vecchi dissapori, ripicche, incomprensioni, diversità di vedute ecc. poi la nostra Ricky/Lauren torna in California con un sacchettino di sensi di colpa all'acqua di rose, finché non riceve l'invito al matrimonio del figlio.
Ma, essendo lì lì per dichiarare fallimento, decide che non ci andrà.
E invece poi, grazie al suo attuale compagno nonché chitarrista dei the Flash nonché Rick Springfield (chi?) che impegna la sua fantastica chitarra, voleranno in California dove gli invitati alla cerimonia la guardano abbastanza molto schifati e se non avessero tutti un palo nel culo probabilmente la prenderebbero anche a calcioni, ma, siccome non possono finisce che lei, che, non so se ve l'ho già detto, non c'ha nemmeno i soldi per piangere, prende il microfono, fa un discorsone teoricamente commovente, sale sul palco e inizia a cantare. E piano piano (sfilarsi il palo dal culo richiede il suo tempo) si aprono le danze. E il film finisce. Porco diablo.



14 set 2015

Southpaw

Non sono certo un'esperta della filmografia di Antoine Fuqua, che, dirigendo Southpaw è arrivato al suo decimo film.
Io, vedendolo, sono arrivata a tre.
Solo che qua, a differenza degli altri due visti in precedenza, ovvero Training Day (2001) e The Equalizer (2014), non abbiamo Denzel Washington, ma Forest Whitaker.
Adesso che ci penso abbiamo anche Curtis 50Cent Jackson.
Poi - per fortuna - c'è anche Jake Gyllenhaal, che è praticamente l'unico motivo per cui ho deciso di vedere l'ennesimo film sulla vita di un pugile dall'infanzia difficile che si riscatta vincendo tutto, trova amore successo soldi e fama, poi perde tutto (dalle stelle alle stalle), cade, tocca il fondo, si rimette in piedi e (dalle stalle alle stelle) tutti vissero felici e contenti.
La trama, che vi piaccia o no, è tutta qui.
Davvero?
Davvero.
In alternativa potrebbe anche essere un eterno marchettone pubblicitario per l'Adidas.



Jake Gyllenhaal fa paura per quanto è bravo.
In certe scene invece fa paura e basta. Perché io, nonostante finisca per vederli praticamente tutti, i film sulla boxe li patisco. Le scene sul ring, intendo. Quando partono diretti e montanti (con i jab va un po' meglio) metto le mani davanti agli occhi, nemmeno fosse un horror, e non guardo, perché sento proprio il dolore fisico, non ci posso fare nulla. E Jake, che in questo film interpreta il campione (imbattuto) dei medio-massimi Billy Hope, non si risparmia. E l'espressione "metterci la faccia" qua viene presa davvero alla lettera.
E io non so se al posto di Maureen ce l'avrei fatta ad occupare quel posto in prima fila ad ogni combattimento.
Maureen, cresciuta in orfanotrofio come Billy, e che di Billy è diventata, oltre che moglie e madre della loro figlia, amica, consigliera, angelo custode ma soprattutto cervello della coppia, perché saranno anche tutti i pugni presi, io non lo escludo, ma Billy non sembra propriamente un campione di intelligenza,
E nonostante il suo viscido fifty-manager gli abbia proposto una serie di incontri che gli frutteranno la solita vagonata di soldi (a giudicare da quanto poco tempo ci mette Billy ad andare dal culo viene naturale pensare che la fetta più grossa dei guadagni vada proprio al suo agente) Maureen lo convince a rifiutare, e a stare lontano dagli incontri per un po' di tempo.
Ma poi sfiga vuole che ad una cena benefica scoppi una rissa e ci scappi il morto.
Anzi, la morta.
E Billy si ritrova improvvisamente a dover gestire la sua vita. e quella di sua figlia, da solo.
Cosa che non ha mai fatto.
Cosa che non sa fare.
E da questo punto in poi il film precipita assieme alla vita del protagonista, che si ritroverà tempo zero senza lavoro, senza soldi, senza casa, senza figlia.
E mentre Billy tenta di risalire la china, grazie all'aiuto dell'ex pugile Tick Wills noi tentiamo di uscire dalla palude dei cliché e dei dejavu in cui il film si va ad impantanare.
E se riusciamo in qualche modo ad uscirne vivi, è esclusivamente grazie alla bravura di Jake Gyllenhaal.


10 set 2015

Expo anch'io (no tu no!)

Con l'entusiasmo che mi contraddistingue ricordo che, inizialmente, il mio atteggiamento nei confronti dell'Expo era più o meno "che cazzo me ne frega" ed ero intenzionata a non andarci.
Poi, siccome cambiare idea nel tempo è uno dei miei sport preferiti, ho pensato che, tutto sommato, al grido di "e quando mi ricapita l'Expo in Italia?" un'occhiata forse valeva la pena dargliela. 
Quando ho avuto a disposizione anche un paio di biglietti aggratis il dubbio si è fatto certezza, e, con sua bionditudine abbiamo deciso che si poteva fare. 
Sabato.
8 agosto.
38 gradi Celsius.
Nemmeno tanti. 
Se vivi nella Death Valley. 
Abbiamo prenotato (e pagato € 12,50) il parcheggio on line, scegliendo di lasciare l'auto a Fiera Milano, che, arrivando da Torino, probabilmente è la scelta più logica.
Siamo partite presto (ore 8.45), tanto sulla A4 TO-MI al sabato non c'è mai molto traffico. Con noi c'era pure la nipote della bionda, che ormai chiama zia pure me. E infatti mentre camminavamo dal parcheggio all'ingresso dell'Expo (se parcheggiate nel settore 4 non avrete nemmeno bisogno di prendere la navetta) mi ha detto "che bello sarebbe avere una zia come te, tutta tatuata, un po' camionista...." che, nelle sue intenzioni, era un gran bel complimento. 
Non oso pensare avesse voluto offendermi.
Comunque.
All'ingresso c'è già un po' di gente, ma tempo cinque minuti e siamo dentro. 
Non abbiamo un piano preciso, a parte evitare i padiglioni dove devi fare code interminabili (il nostro concetto di interminabile equivale a > 15' ) per entrare.
Il tema dell'Expo 2015, ormai lo sanno anche i sassi, è "nutrire il pianeta, energia per la vita", e ovviamente al proposito i pareri di chi c'è stato sono discordanti. 
Chi è rimasto soddisfatto, chi deluso.
In genere la delusione viaggia in accoppiamento con la frase "eh, ma per quella cifra non ti danno niente da mangiare!". 
A parte il fatto che non è la sagra della porchetta di Ariccia, si concentrano tutti sul "nutrire". Ne avessi trovato uno che si lamenta perché, parlando di "energia" non ci sono postazioni in cui sottoporsi ad un quarto d'ora di  elettroshock, ad esempio. 
No, è tutto un "minchia, non c'è niente da mangiare!".
Non c'è niente da mangiare GRATIS, al limite. Ma non mangi gratis nemmeno al Salone del Gusto, se stai a vedere. E pensa, pure al Salone del Libro se vuoi dei libri ti tocca pagarli a prezzo intero.


Lo so, sono sempre la solita stronza acida e un po' polemica.
Ma non è colpa mia. 
Ovviamente ad un mese di distanza non è mia intenzione mettermi qua a fare un elenco dei padiglioni in stile celo-manca, chi mi segue su Instagram è già stato ampiamente ammorbato in tempo reale. però vi lascio le mie impressioni generali, che, naturalmente, lasciano il tempo che trovano.
Ho apprezzato molto la possibilità di rifornirsi alle fontanelle che distribuiscono acqua sia naturale sia frizzante, considerato che avremmo bevuto almeno tre litri d'acqua a testa, così come ho apprezzato i nebulizzatori d'acqua, dove passare a rinfrescarsi di tanto in tanto.
Il mio approccio, al di là del tema portante (e importante) era prettamente "estetico", nel senso che ero interessata principalmente alle architetture dei vari padiglioni, e da questo punto di vista non sono rimasta affatto delusa.
Mi è dispiaciuto - causa la coda eccessiva - non riuscire a visitare Nepal, Giappone, Brasile e il famigerato Kazakistan, sono rimasta abbastanza delusa dal Vietnam, che all'esterno è molto carino, mentre all'interno a parte qualche pezzo ornamentale non è che offra molto altro.


Una piacevole sorpresa è stato il padiglione dell'Azerbaijan, con le sue sfere di vetro che rappresentano le diverse biodiversità, oltre a strutture lignee geometriche e distese di fiori multicolori.

Ho apprezzato il Marocco, dove ho anche effettuato l'unico acquisto della giornata: un quaderno con la copertina di pelle stampata con un pattern (che - fra le altre cose - è lo stesso che ho tatuato sul braccio) ornamentale tipico, che finirà nel mucchio di quaderni acquistati in ogni parte del mondo... e dove siamo tornate per la cena, che è stato un bel momento di condivisione: mentre noi mangiavamo cibo marocchino nello spazio all'aperto del padiglione, stormi di zanzare autoctone si cibavano di noi senza alcun ritegno.





Il premio per il padiglione più triste fra tutti quelli visitati (perché vedere tutto in un giorno è impensabile oltre che impossibile) lo vince la Romania, mentre mi hanno colpito (parlo sempre a livello visivo) la Spagna, con le sue stanze a pareti e pavimenti di "piatti" colorati, l'Estonia, tutto in legno, con le altalene su cui ho fatto un giro, perchè è più forte di me, se incontro un'altalena ci devo salire e dondolarmi, e la  Polonia, con questa costruzione che sembra fatta di cassette per la frutta in cui si entra salendo una rampa di scale laterale e ci si ritrova in un giardino/labirinto con alberi e specchi, mentre all'interno vengono mostrate attraverso video e installazioni, le risorse del paese.
Prese dall'entusiasmo abbiamo risposto ad una serie di domande sul paese che apparivano su un enorme monitor, ottenendo anche uno fra i punteggi più alti. E son soddisfazioni, considerato che nessuna delle tre ha mai messo piede in Polonia.

Interessanti i cluster (cacao, caffè, riso, spezie ecc.) dove trovano spazio i vari paesi produttori. Non particolarmente affollati, si girano anche abbastanza in fretta, e, in quello del caffè si possono ammirare le foto di Sebastiao Salgado.
Il padiglione della Gran Bretagna, con questa installazione che ricorda un grande alveare, è sicuramente di impatto, mentre il bar sulla terrazza offre un sacco di cose interessanti a livello alcolico, ma noi ci siamo trattenute (non ricordo se perché dovevamo ancora pranzare e quindi eravamo a digiuno o se perché avevamo già pranzato e quindi era troppo presto per l'aperitivo).



La questione "aperitivo" l'abbiamo risolta successivamente, allo stand del Cile, sorseggiando un Pisco Sour con accompagnamento di nocciole. La coltivazione della nocciola in Cile è abbastanza recente, iniziata negli anni 90 grazie al contributo della Ferrero - che suppongo sia anche il cliente più importante - ha fatto sì che, in soli 20 anni, il paese sia diventato il primo esportatore di nocciole dell'America Latina. Il Pisco invece è un acquavite, bevanda nazionale sia del Cile sia del Perù (che infatti se ne contendono la paternità). Non essendo sottoposto ad invecchiamento non può considerarsi un brandy, e avendolo bevuto sotto forma do cocktail [(nella sua versione cilena, ovvero con aggiunta di succo di lime, ghiaccio e zucchero) (la versione peruviana prevede anche il bianco d'uovo)] non posso dirvi che gusto abbia.
A differenza del Pisco Sour cileno, che è davvero ottimo.


Concludo il mio inutile "reportage" sull'Expo parlandovi del padiglione che mi ha conquistato, ovvero quello della Corea (del Sud, of course).
Esternamente non è di quelli che ti lasciano a bocca aperta, pare ricordi la forma del moon jar, il tipico vaso di ceramica in cui vengono fatti fermentare i cibi.
Lo slogan della Corea è "sei ciò che mangi", e, attraverso i diversi spazi espositivi pone domande del tipo cosa mangiare, come, ma soprattutto fino a quando si potrà mangiare (in modo sostenibile)?

La "sinfonia dei cibi" performance visiva che rappresenta l'armonia e l'equilibrio tra i cibi è davvero affascinante, come lo è la sala della conservazione, dove un pavimento di onggi fa da schermo allo scorrere delle stagioni. Non essendo ancora state in Corea (mai dire mai) abbiamo deciso di pranzare al Ristorante Hansik, dove abbiamo potuto assaggiare diverse varietrà di kimchi e altri piatti.  Io ho preso il menu Bibimbap Soban, e mi sono innamorata del Porridge di funghi.


Verso le 19.00 (adesso l'orario è stato anticipato alle 18.00) si inizia a vedere gente infighettata, compresi alcuni esemplari di sesso femminile col tacco 12, sono quelli che - approfittando del biglietto ridotto a 5€ - vengono all'Expo per l'aperitivo.
Noi siamo in giro quasi da 10 ore, abbiamo l'ascella pezzata, i capelli sudati, il trucco sbavato e i piedi palmati, ma resistiamo. Dopo cena ci concediamo ancora qualche stand (anche perchè l'expo chiuderà anche a mezzanotte, ma i padiglioni alle 10 di sera son già tutti barati, cosa che, sinceramente non trovo corretta, ma si sa, io son rompicoglioni nel profondo) e, ridendo e scherzando si son fatte quasi le 11.00. Torniamo alla macchina trascinandoci a fatica, ma, considerato che la nipote di sua bionditudine ha la metà dei miei anni ed è stanca quanto me se non il doppio, un po' mi consolo.
Appena appoggiato il culo sui sedili di Clio V sembrava di essere entrati in una sala doppiaggio di un film porno. Era tutto un aaaaaah, ooooooh, uuuuuuuh, ma di dolore.
Una giornata così è sicuramente massacrante, ma non sono affatto pentita, anzi: confesso che non mi dispiacerebbe riuscire a farci un altro giro, prima della chiusura. In maniera molto più soft, però.
Quindi, il mio parere sull'Expo è senz'altro positivo.
E, visto che avete letto fin qua, ho deciso che vi meritate pure una MIA foto.
Sono il puntino indicato dalle frecce.

8 set 2015

Operazione U.N.C.L.E.



I film di Guy Ritchie sono sempre così cazzari che alla fine, nonostante tutto, riescono a divertirmi. E anche questo Operazione U.N.C.L.E. non si sottrae agli standard, e un paio di scene divertenti ce le regala, anche se, per un film che dura quasi due ore, raggiunge appena il livello sindacale minimo.
C'è da dire che con un paio di protagonisti leggermente più carismatici (ma soprattutto espressivi) di quanto non siano Henry Cavill e Armie Hammer il risultato sarebbe stato nettamente superiore, ma si sa, c'è grossa crisi, e quindi bisogna accontentarsi.
Leggevo che per il ruolo di protagonisti prima di raschiare il fondo del barile sono stati presi in considerazione svariati attori, tipo Joseph Gordon-Levitt, Ryan Gosling, Channing Tatum, Alexander Skarsgård, Ewan McGregor, Matt Damon, Christian Bale, Michael Fassbender, Bradley Cooper, Leonardo DiCaprio, Joel Kinnaman, Russell Crowe, Chris Pine, Ryan Reynolds, Jon Hamm, Tom Cruise, manca giusto James Franco e poi direi che ci son tutti.
La storia si svolge negli anni 60, in piena guerra fredda, e inizia a Berlino, quando la (CIA ci) spia americana Napoleon Solo (Henry Cavill) riesce a far uscire da Berlino Est Gaby Teller, figlia di un ex scienziato nazista che aveva iniziato a collaborare con gli Stati Uniti ma poi era misteriosamente sparito, fino al suo avvistamento a Roma. 
Che Gaby Teller (Alicia Vikander) non è una racchia con i brufoli e i capelli grassi ve lo devo dire o ci arrivate da soli? Perfetto. 
Ma, mentre sulle tracce di Solo e della non-racchia si  mette l'agente russo Illya Kuryakin (Armie Hammer), si viene a scoprire che Mr.Teller si trova alle dipendenze della famiglia Vinciguerra, simpatica dinastia di nazisti de borgata, che vuole costruire la sua bomba atomica personale. Per questo motivo CIA e KGB dovranno unire le loro forze, e l'allegro terzetto formato da Solo, Kuryakin e non-racchia Teller si trasferisce a Roma per impedire che i Vinciguerra riescano a realizzare il loro piano criminale. Ma soprattutto per impedire che Luca Calvani possa recitare ancora. Perchè al confronto anche Cavill e Hammer sembrano degli attori seri. 
Per riuscirci interverrà anche l'MI6 capitanato da Mr.Waverly (con la faccia strafottente di Hugh Grant) e, se tutto è bene quel che finisce bene, tenetevi pronti a vedere i due agenti imbalsamati segreti e la non-racchia Teller in missione a Istanbul.
Io probabilmente avrò da fare, a meno che, nel frattempo, la stoccafissitudine abbia abbandonato Hammer e Cavill lasciandoli liberi di esibirsi in almeno un paio di espressioni.  
Belli i costumi, soprattutto quelli sfoggiati da Gaby Teller, perché, diciamocelo, gli abitini anni 60 sono uno più delizioso dell'altro.. E la scena in cui lei arriva a Roma e si rifà il guardaroba in boutique, con lo scambio di opinioni modaiole tra Solo e Kuryakin, è in assoluto una delle migliori del film,