19 gen 2015

Hungry Hearts

Peccato che il titolo "Le conseguenze dell'amore" sia stato già usato nel 2004 da Paolo Sorrentino, perché altrimenti Saverio Costanzo, che nello stesso anno si faceva conoscere al grande pubblico con il suo primo lungometraggio, "Private" (vincitore del Pardo d'Oro al festival di Locarno), avrebbe potuto farci (più di) un pensierino. 
Peccato (per me, invece) aver visto il film nella sua versione doppiata - anche abbastanza malamente, se posso permettermi - perché sicuramente in v.o. l'avrei apprezzato di più, e avrebbe senz'altro reso maggiormente l'idea di sradicamento e solitudine di Mina, italiana a New York, a partire dal dialogo "al rallentatore" con la suocera durante il pranzo di nozze.
Ma andiamo per ordine.
Mina e Jude si conoscono praticamente per forza nel momento in cui si ritrovano bloccati nel bagno di un ristorante cinese. Li ritroviamo, innamorati e conviventi, qualche tempo dopo, non ci è dato sapere quanto, né ci importa, alla fine. 
Dopo aver scoperto che da lì ad un paio di mesi lei verrà trasferita per lavoro (non ci è dato sapere dove, né ci importa, alla fine) scopre di essere incinta.
Matrimonio, festa di nozze sulla spiaggia di Coney Island, e Mina inizia a sognare un cacciatore che ammazza un cervo (a Coney Island?) e sparisce nel buio. Questo sogno la condiziona, ma Jude la convince che non è nulla. Nel frattempo, ignorando il consiglio di ogni nonna dell'universo mondo "sei incinta? devi mangiare per due!", lei inizia a non mangiare quasi nulla, e, come se non bastasse, una cartomante le predice che avrà un bambino indaco
Arriviamo alla data del parto in cui Mina, che avrà rifiutato ogni accertamento clinico durante la gravidanza - viene sottoposta, nonostante cerchi di opporsi in ogni modo, a parto cesareo. 
Passano i mesi e la donna, che ha sviluppato un amore assoluto e totale per quel figlio, cerca di proteggerlo da ogni possibile contaminazione esterna, evitando persino di portarlo fuori, perché quel figlio è tanto speciale quanto puro, e, per questo motivo, nulla del mondo "là fuori" deve venire in contatto con lui. 
Jude inizialmente asseconda Mina, convinto dalle parole della donna che sa cosa è bene per suo figlio, ma, preoccupato per un'incessante febbre del bambino, lo porta di nascosto da un medico, dove scopre che la febbre è l'ultimo dei problemi, in quanto il bambino è malnutrito, non cresce e questo potrebbe provocargli danni futuri. 
Jude è combattuto. Ama Mina, ma ama anche quel bambino, che Mina, a sua volta, ama di un amore smisurato, tanto da sembrare malato.  
Le cose peggiorano, fino al momento in cui il circolo vizioso di questo amore che più che "affamare" sembra prendere a morsi i protagonisti  di questa vicenda, in qualche modo, si chiude.




Sono entrata in sala temendo che avrei patito come l'incenso in chiesa il personaggio di Mina, che rasenta il fanatismo alimentare/ambientale/emotivo. Ovviamente l'ho detestata, ma meno di quanto avrei creduto. 
Bravissima, come sempre, Alba Rohrwacher nel rappresentare (anche fisicamente) lo struggimento psicofisico di una madre annientata dal troppo amore, bravo e "particolare" Adam Driver, in certe inquadrature affascinante e in altre orribile, e non mi riferisco alle riprese "grandangolari" che ad un certo punto sembrano voler entrare veramente all'interno dei protagonisti. 
Incisiva la colonna sonora di Nicola Piovani. 

16 gen 2015

Il sale della terra

Tranquilli, non mi sto cimentando nell'esegesi del testo di Ligabue. 
Volevo parlarvi del documentario realizzato da Wim Wenders su (e con) Sebastião Salgado, che volevo vedere già da qualche tempo, in quanto apprezzo moltissimo il lavoro del fotografo brasiliano. 
Il fatto che, a distanza di più di due mesi il film fosse ancora in sala mi ha fatto pensare che probabilmente ne valeva davvero la pena. La bionda mi ha subito riportato alla realtà ricordandomi che anche Romance, nel lontano 1999, rimase in sala per tempo immemore. Va a sapere.
In ogni caso il documentario è candidato ai prossimi Oscar nella categoria miglior... documentario, appunto. 
Wim Wenders ama il lavoro di Salgado fin dai tempi del suo reportage nelle miniere d'oro di Serra Pelada, in Brasile. Guardando quelle persone si ha l'impressione di vedere un immenso formicaio umano.


Il documentario parte da queste incredibili immagini e con lo stesso Salgado che racconta in prima persona, veniamo catapultati nel suo mondo, da quando, interrotti gli studi di economia, lascia il Brasile - durante la dittatura - e si trasferisce in Francia con la moglie Leila e il figlio Juliano, che ha contribuito alla realizzazione del documentario, con le riprese in Antartide e i vari filmati di repertorio, che si alternano agli scatti che il fotografo brasiliano ha realizzato in giro per il mondo, documentando le sue infinite bellezze, ma anche i suoi innumerevoli orrori, dalla carestia in Etiopia al genocidio in Ruanda fino alla guerra dei Balcani.
Immagini che fanno accapponare la pelle per la loro cruda e drammatica intensità, al punto che lo stesso Salgado, per un periodo di tempo, non è più riuscito a fotografare l'orrore generato dall'uomo nei confronti dell'uomo, dedicandosi a progetti riguardanti la natura, attraverso un viaggio nei cinque continenti che documenta la rara bellezza del nostro pianeta, e mediante la riqualificazione della foresta equatoriale nello stato di Minas Gerais in Brasile, da cui Salgado proviene.
Una testimonianza affascinante e terribile al tempo stesso.





15 gen 2015

Le nomination(s)

Abbiamo l'elenco di tutti i titoli che, il prossimo 22 febbraio, nel solito Dolby Theatre di Los Angeles, cercheranno di portarsi a casa una (o più) statuette.
Purtroppo, a differenza dello scorso anno, non arrivo preparata, in quanto mi mancano ancora un bel po' di titoli per completare almeno la categoria più importante, ovvero quella per il miglior film. 
Questo ovviamente non mi impedirà di azzardare i miei inutilissimi pronostici, di cui nessuno di voi sentiva la mancanza.

Miglior film:

Birdman 
Boyhood 
Selma 
La teoria del tutto 
Purtroppo 4 su 8 sono davvero pochini per poter esprimere un'opinione. E, per quanto il mio personalissimo oscar vada a Whiplash, che ho davvero adorato, credo che abbiano buone probabilità di portarsi a casa la statuetta o Boyhood o La teoria del tutto. Che tenterò di recuperare prima della fatidica data. 

Miglior regia 

Alejandro G. Inarritu per Birdman 
Richard Linklater per Boyhood 
Bennett Miller per Foxcatcher 
Wes Anderson per Grand Budapest Hotel 
Morten Tydlum per The Imitation Game
Non so assolutamente nulla di Foxcatcher, ma azzardo la vittoria di Linklater. Sulla fiducia. E perchè l'idea di un film lungo 12 anni è senz'altro interessante. 

Miglior attore protagonista 

Steve Carell per Foxcatcher 
Bradley Cooper per American Sniper 
Benedict Cumberbatch per The Imitation Game 
Michael Keaton per Birdman 
Eddie Redmayne per La teoria del tutto
Ma davvero Steve Carell? A questo punto questo Foxcatcher inizia ad incuriosirmi.
Detto ciò, pare che Redmayne sia bravissimo. Michael Keaton non l'ho mai potuto sopportare, Bradley Cooper davvero, ma anche no, quindi il mio oscar è per Benedict Cumberbatch. Ma sono pronta a ricredermi appena riuscirò a vedere La teoria del tutto.

Miglior attrice protagonista 

Marion Cotillard per Due giorni, una notte 
Felicity Jones per La teoria del tutto 
Julianne Moore per Still Alice
Rosamund Pike per L'amore bugiardo
Reese Witherspoon per Wild
Avendo visto solo due film scelgo di conseguenza. E, avendo detestato quella psicopatica succhiacazzi di Amy, il mio Oscar è tutto per Julianne Moore,  facile, no?

Miglior attore non protagonista 

Robert Duvall per The Judge
Ethan Hawke per Boyhood 
Edward Norton per Birdman 
Mark Ruffalo per Foxcatcher 
J.K Simmons per Whiplash 
A costo di sembrare monotona, J.K. Simmons. Senza se e senza ma. 

Miglior attrice non protagonista 

Patricia Arquette per Boyhood 
Laura Dern per Wild 
Keira Knightley per The Imitation Game 
Emma Stone per Birdman 
Meryl Streep per Into the Woods
Ma la vogliamo smettere di candidare Meryl Streep almeno una volta l'anno? E basta, dai! Scherzi a parte, anche di Into the woods non so nulla, però, visto che mi è simpatica, dico Patricia Arquette.

Miglior sceneggiatura originale 

Birdman 
Boyhood 
Foxcatcher 
Grand Budapest Hotel 
Lo sciacallo - Nightcrawler 
E non vogliamo dare un premio a Birdman? Che potrebbe vincere l'oscar "zerotituli" per il maggior numero di nomination e raccolte un po' ovunque e... basta?

Miglior sceneggiatura non originale 
American Sniper 
The Imitation Game 
Vizio di forma 
La teoria del tutto 
Whiplash 
Dai, dopo il premio a J.K.Simmons, che se non vince non gioco più, voglio anche l'oscar per la sceneggiatura non originale a Whiplash. 

Miglior film straniero 

Ida (Polonia) 
Leviathan (Russia) 
Tangerines (Estonia) 
Timbuktu (Mauritania) 
Storie Pazzesche (Argentina) 
Ho visto solo Ida (e ho in previsione la visione dell'estone, ma chissà quando. Quindi, Ida, per forza. 

Miglior film d'animazione 

Big Hero 6 
The Boxtrolls 
Dragontrainer 2 
Song of the Sea 
The Tale of the Princess Kaguya 
Siccome non guardo film d'animazione, dico Big Hero 6, perchè lui è tanto carino. 

Miglior fotografia 
Birdman 
Grand Budapest Hotel 
Mr. Turner 
Unbroken
La fotografia di Lukasz Zal è splendida, e lo dissi già in tempi non sospetti. Quindi Ida, again. 
Poi ci sono tutta una serie di categorie di cui non capisco una beata fonchia, quindi non le prenderò in considerazione (perchè invece, di quelle che ho appena citato, sono espertissima, si sa).
Veniamo quindi al 

Miglior documentario 

Citizenfour 
Last Days in Vietnam 
The Salt of the Earth 
Virunga
In questa categoria ho visto anche "The Salt of the Earth", di cui non ho ancora avuto modo di parlare, e che, attraverso le immagini di Sebastião Salgado mi ha procurato brividi per almeno metà visione. Ma Finding Vivian Maier mi ha fatto conoscere un personaggio bizzarro e interessante. 


13 gen 2015

Whiplash

Visto che J.K. Simmons ha (meritatamente) appena vinto il Golden Globe nella categoria "Best Supporting Actor", a distanza di quasi due mesi dalla sua visione, credo sia giunto il momento per parlare di Whiplash, visto all'ultimo Torino Film Festival solo grazie all'incessante passaparola e ai giudizi positivi ascoltati fra una coda e l'altra. 
Già, perché inizialmente, leggendo la sinossi riportata sul programma, che diceva "Andrew, giovane, talentuoso e ambizioso batterista jazz..." alla parola "jazz" mi sono fermata, che - come ho ripetuto più volte - a me il jazz dopo cinque minuti di ascolto scatena inspiegabili istinti omicidi.
Ma siccome da queste parti è sempre la curiosità a vincere, alla fine sono riuscita a incastrarlo fra le varie visioni della settimana festivaliera e mi sono goduta questo film, diretto da Damien Chazelle, di cui, sempre al TFF, cinque anni fa avevo visto "Guy and Madeline on a Park Bench", che parlava sempre di jazz e che all'epoca mi aveva annoiato in discreta misura. Per la cronaca, anche il prossimo film di Chazelle, La La Land, parlerà di jazz, ma questa volta con un pianista, che viene dopo il trombettista e il batterista. Quindi al momento manca il film sul sassofonista, ma mai disperare. 


Siamo a New York e il giovane Andrew, che frequenta una delle più prestigiose scuole di musica della città, è intenzionato a diventare un batterista di fama mondiale. 
Mentre si esercita ripetutamente, a casa e a scuola, viene notato dal celebre direttore d'orchestra nonché terribile professor Terence Fletcher, interpretato dal fantastico J.K. Simmons, uomo per cui l'espressione "sudare sangue" non è un semplice modo di dire, e che, convocato Andrew nella sua classe composta esclusivamente da futuri talenti, lo spronerà a fare sempre meglio e ad andare oltre i suoi limiti, perchè in fondo, come recita un poster appeso nella camera del ragazzo, "se non hai talento finirai per suonare in una rockband".
Andrew è determinato, e per raggiungere il suo scopo è disposto a sacrificare anche la sua vita privata, infatti non esiterà a lasciare la fidanzata, affinché, in futuro, non gli sia di ostacolo. 
Ma l'essere stato ammesso nella classe di Fletcher non significa necessariamente la permanenza assicurata nella stessa, perché l'uomo, che vive in un mondo in cui la presenza del "politicamente corretto" non è minimamente contemplata - e le sue innumerevoli sfuriate durante le lezioni ne sono una prova - pretende il massimo da ognuno dei suoi studenti, e per ottenerlo li sottopone ad un gioco al massacro, sia fisico sia psicologico dove non sono ammessi cedimenti, né debolezze. 
Ha inizio così una vera e propria lotta fra l'allievo e l'insegnante, dove alla tenacia e all'ambizione di Andrew si contrappongono la crudeltà e il disincantato cinismo dello spietato Fletcher. 
Un film che finisce inevitabilmente per appassionare e coinvolgere anche chi, come la sottoscritta, non ama particolarmente il jazz, il che è tutto dire, e a cui si perdona anche il finale forse un po' piacione, ma che non guasta assolutamente.
Lo dico? Ovvio che lo dico: da vedere in lingua originale, per non perdersi nemmeno uno dei fantastici insulti di Fletcher.
L'ho detto.
Al momento non mi risulta ci sia una data di uscita italiana.
Non so perché, ma non mi stupisco. 


12 gen 2015

Big eyes

Fra i ricordi della mia infanzia, prima dell'avvento dell'avvinazzato di Teomondo Scrofalo di driveiniana memoria, ci sono i quadretti di questi bimbetti dagli occhioni esageratamente grandi e lacrimosi. Se ne vedevano un po' ovunque, esattamente come si vede nel film.
Adesso, grazie a Tim Burton, scopro chi è la colpevole l'artefice di tanta bruttezza: Margaret Keane, quindi il mio massimo e costante rispetto va al sempre mitico Terence Stamp, che nel film interpreta il critico d'arte John Canaday, l'unico a dire che i quadri della Keane erano di una bruttezza imbarazzante.
(possibile l'inutile presenza di spoiler)
La storia - che tanto per cambiare si basa su fatti reali, è quindi quella di Margaret Keane, nata Ulbrich, che un bel giorno decide di lasciare il marito e, infilati in tutta fretta quattro stracci in valigia (che io non ho mai capito perché la gente nei film infila sempre nelle valigie le cose prendendole a caso dai cassetti) sale in macchina con la figlia e si trasferisce a San Francisco.
Siamo alla fine degli anni '50, e Margaret che nel tempo libero dipinge tristi bambini dagli enormi occhioni, fatica a trovare lavoro, e nei week end si diletta ad eseguire ritratti nei mercatini artistici dei parchi cittadini, facendosi pagare pochi spiccioli.
Un giorno sfiga vuole che a fianco a lei sia posizionato il sedicente pittore Walter Keane, con le sue scene di strada parigine. L'uomo, manipolatore nel DNA, viscido e mellifluo come se ne vedon pochi, inizia ad intortare la povera Margaret, che, ingenua come un tordo, si innamora e, senza pensarci troppo, decide di sposarlo. 
Walter, millantando la qualunque, brama la fama più di ogni altra cosa al mondo, e, ottenuto il permesso di esporre sia le sue opere sia quelle di Margaret in un locale notturno, quando capisce che gli occhioni dei poveri bimbi piacciono alla gente, non ci mette né uno né due a dire alle persone interessate che l'artista è lui.
Margaret inizialmente si incazza, ma non abbastanza, e, convinta da Walter che l'arte prodotta dalle donne non vende, accetta che sia il marito a spacciarsi per l'artista dei "trovatelli".
Passano gli anni, i quadri di Keane e tutto il merchandising ad essi collegato vanno a ruba, fino al momento in cui Margaret inizia a capire (non è mai troppo tardi) chi è realmente suo marito, e, come in un deja-vu, ma stavolta senza nemmeno riempire le valigie a caso, carica la figlia in macchina e se ne va. Inizia una nuova vita alle Hawaii fino al momento in cui, dopo essere diventata Testimone di Geova, deciderà che è giunta l'ora di dire la verità, con tutte le conseguenze del caso.


Non griderò allo scandalo come molti perché questo film di Tim Burton non sembra un film di Tim Burton. E allora? Magari si sarà rotto i coglioni anche lui di fare sempre lo stesso film, no?
E' un film essenziale e asciutto, che non cede - ad eccezione degli occhioni - a facili sentimentalismi. Brava la Adams (e, viste le foto d'epoca della vera Margaret, molto somigliante), immensamente fastidioso il Walter Keane di Christoph Waltz, forse un po' troppo sopra le righe, ma credo che il doppiaggio gli dia una grossa mano, di Terence Stamp ho già detto, e, per concludere, la lesbica che è in me ha trovato fighissima l'attrice che interpreta Dee-Ann, la giustamente scettica amica di Margaret, ovvero Krysten Ritter. 
La vera Margaret Keane, che, a differenza di Walter Keane è ancora viva, compare in una scena del film: è la vecchietta che legge seduta su una panchina, mentre Walter e Margaret dipingono nel parco. 
Se volete vedere un classico film di Tim Burton è probabile che questo film non vi piacerà e vi deluderà, in caso contrario, potete andare tranquilli. 

11 gen 2015

9 gen 2015

The Imitation Game

Sometimes it is the people that 
no one imagines anything of,
who do the things 
that no one can imagine.


Quando nel film sono iniziati i dialoghi, le mie orecchie hanno goduto.
Ho visto The Imitation Game in sala, un quarto d'ora dopo aver finito di vedere American Sniper. 
Dopo due ore di parlata texana biascicata, l'inglese di Benedict Cumberbatch e soci era talmente limpido e fluente, ma soprattutto così chiaro e comprensibile, che quasi non c'era bisogno dei sottotitoli. E' stato bellissimo.
Detto ciò sgombriamo subito il campo da dubbi: a me questo film, da ignorante della storia (e della scienza, e della matematica, e della crittografia) quale sono, è piaciuto.
Di Alan Turing sapevo (e so tutt'ora) davvero poco: che era un matematico inglese, per sua sfortuna omosessuale negli anni in cui in Gran Bretagna l'omosessualità era considerata un reato, che è considerato uno dei padri dell'informatica e che morì suicida.
Non è molto, lo ammetto.
E ammetto anche che, nonostante il film, non è che adesso io sia diventata la massima esperta di Alan Turing esistente sulla piazza. Ma credo di riuscire a farmene una ragione e a sopravvivere. Voi pure, suppongo.
Diretto da Morten Tyldum, di cui ho visto Headhunters il film si svolge - escludendo i flashback su Turing in età scolastica, interpretato dal bravo Alex Lawther e dalle sue inguardabili sopracciglia - su due piani temporali, fra il 1951, nel momento in cui Turing viene arrestato con l'accusa di atti osceni e il periodo in cui, in gran segreto, durante la seconda guerra mondiale, lavorò con un team di altri cervelloni a Bletchley Park per il governo inglese, incaricato di decrittare i codici della macchina Enigma con cui i tedeschi comunicavano le loro operazioni militari.
Il film - che da quello che leggo in giro sta piacendo davvero a pochi - si basa fondamentalmente sulla magistrale interpretazione di uno strepitoso Benedict Cumberbatch, bravissimo a rendere sullo schermo le fragilità di un uomo geniale ma al contempo incapace di relazionarsi con gli altri, dai tempi in cui frequentava il college e poteva contare solo sull'amicizia di Christopher, ma non vanno trascurati nemmeno Keira Knightley nel ruolo di Joan Clarke, unica donna del team, e il sempre valido Mark Strong nel ruolo di Menzies, capo del MI6.
E, cosa da non sottovalutare, la sottile presenza di un pungente humour inglese, che, mi sorge il dubbio, con il doppiaggio sia andato totalmente a farsi fottere.


8 gen 2015

Pride

As we go marching, marching, in the beauty of the day 
A million darkened kitchens, a thousand mill lofts gray 
Are touched with all the radiance that a sudden sun discloses
For the people hear us singing, bread and roses, bread and roses.
As we come marching, marching, we battle too, for men, 
For they are in the struggle and together we shall win. 
Our days shall not be sweated from birth until life closes, 
Hearts starve as well as bodies, give us bread, but give us roses.
As we come marching, marching, un-numbered women dead 
Go crying through our singing their ancient call for bread, 
Small art and love and beauty their trudging spirits knew 
Yes, it is bread we. fight for, but we fight for roses, too.
As we go marching, marching, we're standing proud and tall.
The rising of the women means the rising of us all.
No more the drudge and idler, ten that toil where one reposes,
But a sharing of life's glories, bread and roses, bread and roses

L'ultimo film visto nel 2014 è stata questa pellicola inglese diretta dal semisconosciuto Matthew Warchus, presentato all'ultimo festival di Cannes dove ha vinto la Queer Palm. 
Si basa su una storia vera, ed inizia nel 1984 al Pride di Londra. Mark Ashton, gay attivista e militante, si chiede come mai i poliziotti ultimamente li stiano lasciando relativamente tranquilli, e capisce: non hanno tempo per i gay in quanto hanno di meglio da fare: prendersela con i minatori in sciopero dopo che la Thatcher decise di chiudere la miniera di carbone di Cortonwood nello Yorkshire a cui avrebbe fatto seguito la chiusura di altre miniere con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro.
Decide quindi, con un gruppo di amici, di formare il LGSM (Lesbian and Gays Support the Miners) e di raccogliere fondi da destinare ai minatori e alle loro famiglie in difficoltà.
Ma i sindacati dei minatori non vogliono saperne di essere supportati da un gruppo di finocchi e non accettano il loro aiuto. Ma Mark e i suoi amici non si arrendono e decidono di contattare direttamente i minatori, scegliendo un piccolo paese del sud del Galles, Onllwyn, a cui offrire il loro supporto.
Per un malinteso telefonico, la piccola comunità accetta il loro aiuto, e un rappresentante della comunità si reca a Londra per ringraziarli.
Ma anche ad Onllwyn il supporto del LGSM non mette d'accordo tutti, in un misto di diffidenza, scetticismo ed ignoranza.
Quando il gruppo viene invitato a recarsi in Galles a conoscere i membri della comunità molti abitanti - ma non tutti - abbandonano i loro pregiudizi, gettando le basi verso una nuova forma di solidarietà.
Succedono un po' di cose che non starò qua a raccontarvi perché altrimenti vi racconto tutto il film, che a Torino sta riempiendo l'unica sala in cui è ancora in proiezione probabilmente grazie al passaparola,
Una commedia che fa riflettere con leggera delicatezza, intrecciando la storia dello sciopero con vicende personali, rapporti familiari, coming out, omofobia e AIDS.
Con una colonna sonora che è un vero e proprio tuffo nel passato, con pezzi di King, Dead or Alive, Bronski Beat, Billy Bragg ecc. e che, come direbbe quel mio amico, mi ha commosso al punto di farmi piangere come un vitello, a partire da quando le donne di Onllwyn attaccano a cappella Bread and Roses, maledette. 

7 gen 2015

American Sniper

Clint Eastwood, il texano dagli occhi di ghiaccio (che texano non è), dirige Bradley Cooper, un'altro che col Texas non c'entra nulla,  ma che per questo film, che si basa su una storia vera, il texano l'ha studiato prendendo lezioni di dizione in modo da riuscire a mischiare l'accento occidentale, quello rurale, quello meridionale e quello dei cowboy. Il risultato è assolutamente eccellente: infatti quando parla non si capisce una beata minchia. Probabilmente, vista anche la trasformazione fisica di Cooper, alla fine si è mangiato anche l'insegnante. 
La storia (vera) è quella di Chris Kyle, il cui padre gli ha spiegato, quando era ancora un ragazzino, che gli uomini si dividono in pecore, lupi e cani pastore. E che non bisogna essere né pecore né lupi. Chris diventa quindi quel cane pastore pronto a sacrificare tutto per proteggere e difendere la vita dei suoi cari. Mentre con il fratello partecipa ai rodei che si svolgono in quell'angolo d'America, vede in tv il servizio relativo agli attacchi alle ambasciate americane di Nairobi e Dar Es Salaam (agosto 1998) e decide di arruolarsi nel corpo dei Navy Seals. 
Spinto da quei valori tanto cari agli americani, "amore dio & patria", ovviamente Chris supera il duro addestramento e parte per il suo primo turno in Iraq diventando il cecchino più letale della storia militare americana.
I suoi turni in Iraq saranno quattro, e la lista dei nemici abbattuti, che contribuirà a farlo diventare "Leggenda" per gli americani e "diavolo" per i suoi nemici, che metteranno una taglia di 80.000 dollari sulla sua testa, arriverà a 160 (secondo le stime ufficiali, ma pare che possano essere stati molti di più), ma quello che sembra sconvolgere profondamente Chris non è l'elenco delle sue vittime, poco più che bersagli, ma i compagni che non è riuscito a salvare con il suo lavoro.
Il film alterna i periodi di Chris e del suo plotone in Iraq, prima a Falluja poi a Sadr City con quelli di congedo tra una missione e l'altra. Ed è proprio in questi momenti "casalinghi" che il film, in cui il protagonista mostra già i segni del disturbo da stress post traumatico di cui soffrirà una volta congedato, cede il passo all'inevitabile retorica a stelle e strisce soprattutto nei dialoghi con la moglie Taya, al limite dello stucchevole.
American Sniper non giudica (e ce lo possiamo far andar bene), e rimane in superficie. Rimane in superficie tratteggiando il personaggio di Mustafà, la nemesi siriana di Kyle, che, come lui, ha una moglie e dei figli, rimane in superficie nel breve incontro alla base aerea in cui Chris incontra il fratello minore, arruolatosi a sua volta, in un breve dialogo in cui si capisce che il Kyle piccolo si sta letteralmente cagando in mano, ma poi non se ne saprà più nulla.
American Sniper rimane in superficie, e, così facendo, non arriva al cuore.