13 lug 2017

Jackie

I want them to see what they have done to Jack

(Questo post giaceva impolverato nelle bozze da circa 5 mesi.)

Il mio rapporto con Pablo Larrain è iniziato nel peggiore dei modi. 
Con quel Tony Manero che nel lontano 2008 vinse il Torino Film Festival. Film fastidioso che mi fece scegliere, due anni dopo, di evitare la visione di Post Morten. Poi, grazie a Gael Garcia Bernal, da NO in poi, ho visto tutti i suoi film. E credo che il mio preferito rimanga, su tutti, IL CLUB. 
Con Jackie, per la prima volta, Larrain si trova a dirigere un film con una protagonista femminile, cosa che non aveva ancora fatto. E si avvale di Natalie Portman che interpreta una delle figure più controverse della storia recente americana. L'iconica Jacqueline Bouvier in Kennedy (e poi in Onassis, ma questa è un'altra storia). 
Larrain si concentra sui  giorni immediatamente successivi all'omicidio di John Fitzgerald Kennedy, avvenuto a Dallas il 22 novembre del 1963, quando Jackie era moglie del presidente degli Stati Uniti da nemmeno tre anni.
Nel cast, oltre alla Portman, ci sono Greta Gerwig nel ruolo dell'assistente Nancy, Peter Sarsgaard nel ruolo di Bob e John Hurt - che ci ha lasciato qualche mese fa - nella sua ultima interpretazione, nel ruolo di padre McSorley.
Purtroppo non sono riuscita a vedere il film in v.o., ma so che la Portman ha fatto un gran lavoro per impostare la voce e riprodurre l'accento della Bouvier. Quindi le mie impressioni si basano su un film doppiato. In cui Natalie Portman (o meglio, la doppiatrice di NP) ha una voce piuttosto monocorde e alquanto fastidiosa. Molto fastidiosa. Pure troppo.
Magari l'avrei trovata altrettanto fastidiosa anche sentendola in v.o., ma... who knows? 
Detto ciò quello che ci viene mostrato è, oltre allo smarrimento di Jackie, ritrovatasi improvvisamente vedova e madre di due bimbi ancora piccoli, quello che avvenne ai funerali, grandi funerali pubblici organizzati contro il volere di tutti come quelli di Lincoln, per fare entrare suo marito nella leggenda,  e quello che Jackie disse durante l'intervista che l'ex First Lady concesse, nella sua villa di Hyannis Port nel Massachusetts,a Theodore H. White,giornalista della rivista Life.
L'intervista uscì il 6 dicembre con il titolo «For the President Kennedy: An Epilogue»
In quell'occasione una Jackie più vittima di un ruolo pieno di ipocrisie che sofferente per il lutto regalerà a White citazioni bibliche sul marito che andava nel deserto per essere tentato ma poi tornava sempre a casa. consapevole dei ripetuti tradimenti di John, ma determinata a sopportarli, travestendo le bugie da favole, e fingendo di vivere in quel luogo che per un breve splendente momento fu chiamato Camelot.
E, ipocrisia su ipocrisia, in una specie di gioco perverso in cui era al contempo succube e complice, tutto questo lo racconterà fumando, e affermando candidamente "io non fumo".


12 lug 2017

Non faccio cose, non vedo gente

Ho comprato la tv nuova. (aaaaaaaaaah, ma che notiziona!). Mi è stata consegnata come tutte le altre cose che ordino su internet in ufficio, e quando ho visto l'enorme imballo ho pensato "e come la porto a casa?" 
Per fortuna in mio soccorso sono arrivati i miei due colleghi dell'IT, che hanno portato a casa me e la tv, e me l'hanno installata in un abbacchiobaleno. Bravi ragazzi. 
Esteticamente è un bell'oggetto, anche da spenta. 
Visto che essa è anche smart (sicuramente più di quanto non lo sia io) ho deciso di farmi, con un ritardo di quasi due anni, l'abbonamento a Netflix. Che, per una che generalmente non guarda serie TV sembra anche una stronzata un controsenso. E, a tutti gli effetti, lo è. 
Ho deciso di impegnarmi iniziando da una cosina leggera (ma anche un po' splatter), e così mi sono guardata Santa Clarita Diet, che, diciamocelo, è una scemata di proporzioni fotoniche, ma Drew Barrynore è tanto caruccia, anche quando le si sgretola un mignolo, e in più occasioni mi sono ritrovata a ridere come una deficiente. 

Sono quindi arrivata alla fine del decimo episodio, e, davanti a quel finale che non è un finale manco per il cazzo per niente, sul mio viso si è fatta largo un'espressione tipo questa: 




Ma che, si fa così?
Cativi.

5 lug 2017

Le ardenne (oltre i confini dell'amore)

“Le Ardenne”: dopo “Alabama Monroe” arriva un altro cult del cinema fiammingo


E' più forte di noi. Quando non riusciamo a stravolgere il titolo con traduzioni totalmente campate in aria ed inappropriate, dobbiamo comunque fare danno, aggiungendo una frase del cazzo esplicativa, con l'intento di far capire di cosa si parla. Visto che la stampa, data l'identica provenienza geografica, lo abbina ad Alabama Monroe (che comunque non è il titolo originale), vediamo le vette di fantasia a cui possiamo arrivare: là era stato aggiunto, sarcazzo why, "una storia d'amore", qua, per non essere da meno, hanno ben pensato di piazzare lì, come niente fosse, quell'inutilissimo "oltre i confini dell'amore". 
Signori, lasciate che ve lo dica con la pacata eleganza che mi contraddistingue: 
Avete.
Rotto.
Il.
Cazzo.

Mamma, perchè non ci sono foto mie?
Perchè non venivi bene in foto, figlio mio.

Veniamo dunque al film, che, come avrete capito, è fiammingo, è stato scelto inutilmente dal Belgio come film destinato ad entrare nella cinquina dei migliori film stranieri agli ultimi Oscar, e paragonato a lavori di gente come i fratelli Coen o (boom) Tarantino.
Ecco.
No.
Assolutamente no.
In breve, abbiamo due fratelli e la fidanzata di uno dei due. 
Durante una rapina, il più giovane dei due, Kenny,  (uno che - non vorrei sembrarvi lombrosiana, ma è più forte di me - ha lo stesso sguardo intelligente di Bobo Vieri), viene beccato e per non tradire fratello e fidanzata, finirà in carcere da solo.
Dopo 4 anni viene rilasciato, ma nel frattempo le cose sono cambiate, tipo che la sua adorata fidanzata si è messa con Dave, suo fratello, ed entrambi hanno abbandonato alcool e droga. 
Visto che Kenny non ha esattamente il carattere di un monaco buddista, Dave cerca il momento ed il modo migliori per dirgli come stanno le cose. E, aspettando che arrivi sto benedetto momento, riesce a farlo assumere nell'autolavaggio dove lavora. Kenny, in segno di riconoscenza, si fa licenziare nel giro di 48 ore, ma, non pago, fa licenziare anche Dave.
Dave, grazie a dei sensi di colpa grossi come il Belgio, non corca di mazzate quel deficiente di suo fratello, e anzi, quando questo gli arriva con il cadavere del datore di lavoro di Sylvie nel baule della SUA auto, si fa convincere ad andare da Ste, nelle Ardenne, a sistemare tutto.
Dato che se ci fosse un Nobel per i coglioni, i fratelli Dave e Kenny vincerebbero a mani basse, le cose, arrivati nelle Ardenne, iniziano ad andare sontuosamente a puttane.
E tu, quando esci dalla sala, riesci solo a pensare "che due immensi coglioni".




3 lug 2017

Paolo Villaggio

Genova, 30 dicembre 1932 – Roma, 3 luglio 2017
“Sono inviperito per questa tendenza che esiste soprattutto in Italia, forse per le sue radici cattoliche,  di riconoscere i meriti degli artisti solo dopo la morte. 
Come se la morte nobilitasse.”

Codice criminale

Non starò qua a disquisire del motivo per cui un film che si intitola "trespass against us" diventa "codice criminale", perché sinceramente mi sono stancata. In Francia, se non altro, hanno mantenuto il senso, chiamandolo À ceux qui nous ont offensés. 
E vabbè. Non starò qua nemmeno a dire che una stagione cinematografica scamuffa come questa faccio fatica a ricordarla, Che va bene che in estate in Italia si raschia il fondo del barile (cinematograficamente, e non solo), ma quest'anno abbiamo iniziato a raschiare tipo a marzo, ecco.
Poi uno dice "ma perché non scrivi più sul blog?" (a dire la verità non me l'ha mai chiesto nessuno, ma fa lo stesso). Non scrivo più sul blog perché quello che vedo mi lascia abbastanza indifferente e priva di qualsiasi ispirazione per scriverne anche solo mezza riga.
Però, siccome a volte ritornano, ho deciso di fare uno sforzo e buttare giù due righe su questo film. Che, ovviamente, sono andata a vedere soltanto per la presenza di Michael Fassbender nel cast, perché nella scelta di un film mi spingono quasi sempre motivazioni pregne di etereo misticismo ed intellettualità spinta. 
Il film si può riassumere tranquillamente con quella frase riportata in basso sulla locandina, "blood is a brutal bond", e io potrei fermarmi qui. 
E invece.

Siamo da qualche parte nel Gloucestershire, dove, accampati ai margini del bosco, vivono i Cutler, che non si capisce benissimo se siano zingari oppure no, resta il fatto che vivono in roulotte, la sera si ritrovano attorno al fuoco e vivono di espedienti. Il gruppo è comandato dal patriarca Colby, uomo dispotico che non perde occasione per lanciarsi in discorsi deliranti, tipo che la terra è piatta e altre amenità del genere, a cui tutti obbediscono ciecamente. A parte Chad, il figlio maggire, educato secondo la tradizione, privo di un educazione scolastica, che sogna per i suoi figli e per sua moglie un futuro diverso dal suo, ed è preoccupato soprattutto per suo figlio, sempre più affascinato dai racconti del nonno.  Ma affrancarsi da Colby è più facile a dirsi che a farsi, e Chad, nonostante tutto, si troverà ancora una volta ad obbedire al padre, accettando di partecipare ad una rapina, promettendo a se stesso che sarà l'ultima.
Sarà vero?
A metà strada tra film d'azione a dramma familiare, l'opera prima di Adam Smith convince, ma solo fino ad un certo punto.


22 mag 2017

Una settimana a Nosy-Be (Madagascar)

Essere in vacanza significa non avere niente da fare e avere tutto il giorno per farlo.
Avevo bisogno di riprendermi dallo stress del trasloco, e ho deciso che una breve vacanza era quello che faceva al caso mio.
A dirla tutta io e la bionda abbiamo prenotato a metà gennaio, quando la casa era ancora un cantiere e il trasloco una vaga idea, e, mentre la bionda mi chiedeva "ma sarai a posto per quella data?", io, pervasa dal pensiero positivo rispondevo che una settimana di ferie non avrebbe cambiato nulla, in ogni caso. Poi, come ormai sanno anche i sassi, ho traslocato il 7 aprile, mi sono accampata più o meno sistemata e il 10 maggio io e la bionda siamo uscite dall'ufficio alle 17.00 per andare a Malpensa.
Considerato che il volo partiva alle 22.00 abbiamo deciso di cenare allo Spazio Ferrari, evitando così la sontuosa cena aerea. E per fortuna, perché in volo hanno servito dei gnocchi morti di stenti a causa del loro prolungato soggiorno nel microonde, roba  che definirli immangiabili è riduttivo e non riesce a descrivere il disgusto, ma, per darvi un'idea, succhiarli crudi dal banco frigo del supermercato avrebbe dato più soddisfazione.  
Come sempre in aereo, nonostante l'aiuto della chimica, non ho dormito un cazzo ho dormito pochissimo e mi sono annoiata parecchio. Ma sono sopravvissuta.
All'arrivo all'aereoporto di Nosy-be il caldo mi ha accolto in tutta la sua umidità, e ho avuto un attimo di shock termico. Ci hanno recuperato con il pulmino e, dopo un'ora di viaggio su strade per lo più sterrate, siamo arrivate al villaggio, con tanto di drink di benvenuto e balletto con canzoni indigene. Mi sono ricordata immediatamente il motivo per cui la vacanza in villaggio non fa per me, e ho fatto finta di niente.
L'assegnazione delle camere è stata relativamente veloce, e in pochissimo tempo abbiamo preso possesso della nostra stanza. Che era enorme con bagno spaziosissimo. Meno male, perchè conservo ancora il ricordo di una stanza di albergo di Brisbane dove in piedi in due non ci potevi stare, così quando una si alzava l'altra doveva sedersi sul letto. Allucinante!
Il tempo di posare le valigie ed eravamo già in costume, pronte a spalmarci in spiaggia dove, a parte due piccole escursioni, siamo rimaste praticamente per tutto il tempo. Per la cronaca, mi sono abituata al caldo tempo zero, e devo dire che si stava benissimo. Anche l'acqua del mare (che poi è Oceano) aveva una temperatura deliziosa. Anzi, a dirla tutta, i primi due giorni era fin troppo calda.
Peccato che il sole in questa stagione tramonti presto, e quindi verso le 6, dopo aver ammirato il tramonto, ci toccava trasferirci al bar a bere.
E lo so, a volte la vita è davvero dura.


5 mag 2017

la tenerezza (che non ho...
la comprensione che non so)

Che uno dice "la poison non scrive da più di un mese, quando torna lo fa col botto". 
E invece.
Dall'ultimo post, che risale al 21 marzo, ho fatto cose, ho visto gente, hanno finito di ristrutturare casa e io ho potuto traslocare, esattamente il 7 aprile. Gattabusiva si è ambientata, io pure. Sono tornata una volta al paesello, e, passando davanti alla mia ex casa non ho provato nessuna emozione. Che, diciamolo,  è un po' la stessa cosa che mi è successa guardando l'ultimo film di Gianni Amelio. 
Renato Carpentieri - molto bravo - interpreta Lorenzo, un avvocato in pensione reduce da un infarto.
L'uomo ha un pessimo carattere, e, da quando è rimasto vedovo ha interrotto anche i rapporti con i suoi due figli. Saverio, il più giovane, se ne infischia, mentre Elena, la primogenita, ne soffre.
Dimesso dall'ospedale torna a casa, e sulle scale conosce Michela, la nuova vicina, che è rimasta chiusa fuori dal suo appartamento. 
Lorenzo la invita ad entrare e le dà un mazzo di chiavi, visto che una volta l'appartamento in cui si sono appena trasferiti era di sua proprietà. Poi conosce anche il marito, e i due figli piccoli. E pian piano la confidenza tra l'uomo e questa giovane coppia cresce, lui e Michela parlano molto, mentre Fabio è al lavoro. Sembra quasi che tutto l'affetto che è mancato ai suoi figlia Lorenzo l'abbia conservato per riversarlo su Michela, ragazza orfana cresciuta con la nonna, e andata via di casa a 16 anni, che si è sposata quando ha conosciuto Fabio. figlio unico di madre chioccia, decisamente introverso e "problematico", se vogliamo usare un eufemismo,
E niente.
Cioè, no, nel film succedono anche altre cose (e per fortuna!), ma nessuna riesce a rendere partecipe lo spettatore, che rimane lì, a guardare un film che sembra quasi senz'anima, dove gli attori interpretano loro stessi. La Ramazzotti in particolare, che fa la svampita (originalissimo, davvero) e i sorrisetti, Elio Germano fa il veneto mezzo razzista/leghista mezzo psicolabile, mentre Giovanna Mezzogiorno fissa il vuoto e parla con un entusiasmo che potevano farla interpretare direttamente a Natolia e nessuno avrebbe notato la differenza. La tenerezza. se presente, è ben nascosta dietro al dolore e alla solitudine.


21 mar 2017

Condominio.
Homo condomini lupus.

E infatti ieri sera, pur non abitandoci ancora, ho partecipato alla mia prima assemblea di condominio. 
Che è iniziata alle 18.10 ed è terminata alle 20.20. E' stato molto bello. 
E niente, sono davvero contenta. Molto contenta. 
A giudicare dai presenti, credo di essere la più giovane lì dentro. E, considerato che ho la metà degli anni di Rockfeller, fatevi due conti. Praticamente il condominio è la versione sabauda della Baggina. 
Ho il dubbio che la signora che abita sotto di me sia una rompicoglioni da competizione. E' riuscita a lamentarsi perché in giardino c'è, da DUE giorni, un contenitore con dentro delle macerie. Che, nella fattispecie, provengono dalla fabbrica del duomo dal mio appartamento. E che sono in un angolo del giardino e non rompono il cazzo a nessuno.
Quasi a nessuno.
Lei è riuscita a dire che, quando apre la finestra, quel sacco le rovina il panorama. Se a qualcuno fosse venuto qualche dubbio, no, non ho preso casa nel parco della Mandria, né a Villa della Regina, ma in una via con pochissimo appeal e, soprattutto, ZERO panorama. Ma tant'è. Ovviamente stamattina le macerie sono scomparse.
Per dirvi la simpatia, quando è andata via non mi ha nemmeno guardato in faccia, figuriamoci salutarmi. 
Credo che una delle prime cose che farò - appena mi sarò trasferita - sarà alzarmi di notte e camminare coi tacchi a spillo per tutta casa, così, per dimostrarle il mio affetto.
A parte questo, ho scoperto (con immenso piacere, ça va sans dire) che quando piove le cantine diventano la succursale torinese di Yerebatan Sarayi, solo un po' più brutte, che sottoterra c'è una cisterna piena di scorie, e che il cortile ha delle pendenze fatte a cazzo (scusate se non mi viene un termine più tecnico) per cui, sempre quando piove,  ci si possono fare i fanghi.
E quindi non vogliamo riparare tutte cose? Ma minchia, certo, facciamolo subito!
Quanto costa? 
Bah, tra una roba e l'altra son 30mila euro malcontati. 
Nonostante tutto continuo ad essere pervasa da un ingiustificato ottimismo, e mi consolo pensando che, se fossi rimasta a poisonville, avrei dovuto comunque sostituire la caldaia. 

Yerebatan Sarayi, Istambul