1 feb 2016

AMY - The girl behind the name (recensioni tardive)

“Non penso che diventerò mai famosa. Non lo potrei reggere. Diventerei pazza”
Non sono mai stata una fan di Amy Winehouse. A dirla tutta non sono mai stata una fan di nessuno, se si esclude Renato Zero, ma ho smesso dopo Artide Antartide, era il 1981 e io avevo 15 anni. 
Ovvio che ci sono artisti che mi piacciono e che ascolto di più, altri di meno, altri che non conosco. Insomma, di musica non capisco una minchia, e non ne ho mai fatto mistero. E se state per dire che non capisco una minchia nemmeno di cinema, posso dire che è vero anche quello, ma fa lo stesso.
In ogni modo quando è arrivato in sala, mesi e mesi fa, sono andata a vedere Amy, perché comunque mi interessava.
Nel documentario, diretto da Asif Kapadia, ci sono filmati di repertorio e altri inediti, e si assiste ad un costante assedio dei paparazzi che seguono costantemente l'artista ad ogni sua uscita, in un epoca in cui gli smartphone non avevano ancora invaso il mondo, interviste ad amici veri, o presunti tali, al suo primo manager Nick Shymansky e ai due uomini che avrebbero dovuto amarla di più nella vita  (e che dal documentario non escono sicuramente bene): suo padre, Mitchell Winehouse, e Blake Fielder, l'uomo di cui Amy si innamorò al punto di pronunciare frasi come «Mi sono innamorata di una persona per la quale sarei morta»,o «Sento che in un certo senso l’amore mi sta uccidendo». I due si sposarono a Miami nel 2007, e sono in molti a sostenere che sia lui l'artefice della parabola discendente di Amy, che sia lui ad averla iniziata alla droga, all'autolesionismo e a tutto quanto sia servito per farla arrivare alla prematura morte, nel luglio del 2011, sola, nella sua casa di Camden, a Londra.
Amy Winehouse era una ragazza dotata di talento, ma troppo vulnerabile per poter reggere tutto lo stress che il successo comporta, e nessuno è riuscito a sentire in tempo il suo grido di aiuto, per quanto i campanelli di allarme avessero suonato più e più volte. Nemmeno il padre, con lei nei Caraibi nel 2008, quando l'artista stava cercando di disintossicarsi, che fa arrivare una troupe cinematografica per riprenderla nonostante lei fosse contraria.
E vederla sul palco di Belgrado nel  suo ultimo concerto, nel giugno del 2011, in cui quasi non si regge in piedi fa davvero male. 
La famiglia - soprattutto il padre - non ha apprezzato, trovando il film fuoriviante e pieno di falsità
E noi non sapremo mai qual è la verità della ragazza che diceva di non voler morire, ma che alla fine non è riuscita a vivere. 
Amy - The girl behind the name è candidato all'Oscar per il miglior documentario.




I don’t ever wanna drink again
I just ooh I just need a friend
I’m not gonna spend ten weeks
have everyone think I’m on the mend
It’s not just my pride
It’s just ’til these tears have dried
(Rehab, 2006)

12 commenti:

  1. Neanche io sono mai stato un suo fan - indubbiamente, alcuni pezzi sono splendidi, ad esempio Back To Black - e pensavo che il documentario non potesse interessarmi. La fine che ha fatto, poveretta, la conosciamo già. Mi hai fatto cambiare idea, recuperò.

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    1. Io l'ho trovato interessante. Poi non so se davvero, come afferma il padre, sia pieno di falsità e irrispettoso o se lo dica solo per pararsi il culo, in quanto nel documentario non fa davvero una bella figura.

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  2. Non sono mai stata sua fan,ma Back to black(come album) secondo me è un capolavoro <3

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  3. Io non sono mai stato un fan di nessuno, ma di Amy lo ero. Ti puoi quindi immaginare quanto questo film sia stato duro da vedere per me...

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  4. Di lei sapevo solo che aveva una voce bellissima, ma poi ho visto questo documentario ed è stata una mazzata.

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  5. voce meravigliosa, talento incommensurabile su cui hanno "mangiato" disgraziatamente in tanti, soprattutto temo quelli che avrebbero dovuto proteggerla di più. Il documentario prima o poi lo recupererò

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  6. Cioè m'hai fatto camminare un sacco. Adesso offrimi almeno da bere.

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    1. Ma a te piace camminare.
      Bello "rivederti".

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