11 feb 2014

La bottega dei suicidi

I "cartoni animati" non sono il mio genere preferito, ma questo film, per qualche strano motivo, mi incuriosiva. Sicuramente un po' di colpa è del mio collega spagnolo che l'anno scorso ha rotto la minchia ne parlava in continuazione; mettici l'ambientazione parigina, aggiungici un'atmosfera vagamente macabra, e alla fine ho deciso di guardarlo.
Il film inizia con il volo di un piccione sui cieli di una Parigi grigia, piovosa e cupa all'ennesima potenza. Quando l'uccello raggiunge due suoi simili sulla sommità di un lampione, li guarda e si lascia cadere nel vuoto. E se anche i piccioni decidono di suicidarsi, non c'è da stare allegri.
La folla si trascina stanca ed angosciata per le vie della città cercando di porre fine alle proprie sofferenze. Anche se suicidarsi in pubblico è punito con multe salatissime.
Ma a tutto c'è rimedio: in un vicolo ha sede la Maison Tuvache, un'azienda a conduzione famigliare gestita da Mr. Mishima (!) e dalla moglie Lucrece, aiutati dai due tristissimi figli Vincent e Marilyn. La loro Bottega dei Suicidi offre tutto il necessario per lasciare questo mondo: cappi preconfezionati, con tanto di sgabellino opzionale, veleni assortiti, funghi, spade, blocchi di cemento con catena incorporata, pistole con un unico proiettile, lamette più o meno arrugginite (se il dissanguamento non basta almeno puoi far affidamento sul tetano). Gli affari vanno a gonfie vele.
Ma.
Quando Lucrece dà alla luce il terzo figlio, Alan, succede l'impensabile: il bambino sorride. Sempre.
Quel bambino sempre allegro e sorridente destabilizza i genitori.
Passano gli anni, Vincent e Marylin sono diventati degli adolescenti tristi, ma Alan continua a sorridere. E, con un gruppo di amici, anche loro inspiegabilmente immuni alla depressione dilagante, cercheranno di cambiare le cose.
Premessa interessante, che purtroppo si perde in un finale forse un po' troppo banale e scontato.



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