Che poi si tratta di figlie. Femmine. Tre.
Ma chissenefrega, in fondo.
Il padre in questione è tal Grégoire Canvel. Che trascorre i minuti iniziali del film guidando, fumando, e parlando al cellulare. Che io ho pure pensato: adesso si schianta e finìu u film.
Invece no. Capita che lo fermi la gendarmeria per eccesso di velocità e gli comunichi che ha esaurito i punti della patente.
Ma questa è un’altra storia, che non c’entra niente col film.
Grégoire è un produttore cinematografico. Dirige la Moon Film, che produce piccoli film indipendenti. Ama il suo lavoro, e per produrre l’ultimo film di un emergente regista svedese ha sforato di parecchio il budget, mentre la Moon Film navigava a vista tra i debiti, con la bancarotta all'orizzonte.
Nonostante le continue rassicurazioni della moglie (Chiara Caselli, che io invidiai tantissimo, nel 1991) Grégoire non è disposto ad accettare il fallimento, e si uccide.
Liberamente ispirato alla storia del produttore francese Humbert Balsan, che, sopraffatto dai debiti sì suicidò nel 2005, il film non trascende mai nel melodrammone patetico, evitando scene strappalacrime di funerali e pianti di famiglia, né si permette di trarre una morale.
Anche se, dopo il secondo cane di “A single man”, la macchina rigata di “Mine Vaganti” anche qua la domanda sorge spontanea: che documenti ha bruciato Grégoire?
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