Da lunedì sono in ferie. Non per scelta mia, che si sa, ad agosto sto benissimo in ufficio, ma, siccome la base di partenza erano TRE settimane, direi che essere riuscita a farne soltanto una è giù un buon risultato, quindi, vorrei che fosse chiaro che: Non. Mi. Sto. Lamentando.
Più che la settimana di ferragosto il clima sembra da settimana bianca, stamattina ci saranno, a esagerare, 16 gradi. Ha smesso di piovere da 10 minuti, più o meno.
E' tutto molto bello, davvero.
Mi sto dedicando, con totale devozione e ottimi risultati, alla pratica dell'ozio. Per spiegarvi il livello di abbruttimento raggiunto vi basti sapere che sto guardando Wolff - un poliziotto a Berlino. Credo che guardare telefilm tedeschi sia una forma di perversione, ma non credo sia il caso di approfondire il discorso.
In un impeto di iperattività l'altro pomeriggio mi sono spinta alla campana per buttare il vetro. Risultato: mi ha punto una vespa. Ho il dito indice della mano sinistra che sembra un wurstel. Son cose. Da bestemmia carpiata.
A parte queste cazzate di poco conto, sabato scorso, io e sua bionditudine siamo finalmente andate a pranzo a
Villa Crespi per festeggiare il (mio) giubileo.
La villa si trova sulla strada che conduce allo splendido borgo di Orta San Giulio (non ci siete mai stati? Rimediate!) e non potete non notarla, vuoi perché è una costruzione in stile moresco, che da queste parti non è esattamente molto diffuso - vuoi per il minareto che la sovrasta.
La villa, che in origine si chiamava Villa Pia, nome della moglie del proprietario, è stata fatta costruire verso la fine del 1800 dall'industriale tessile Benigno Crespi, originario di Busto Arsizio, che voleva una casetta per le vacanze.
Al grido di "la voglio sobria", pare che il Crespi si ispirò ai suoi numerosi viaggi e al fascino di Baghdad, e fece arrivare manodopera direttamente dai luoghi in cui il moresco era di casa.
Dopo vari passaggi di proprietà e un periodo in cui la villa rimase abbandonata, recentemente è entrata a far parte del circuito
Relais & Château dove, dal 1999, lo chef Antonino Cannavacciuolo gestisce il ristorante, che ha ricevuto la prima stella Michelin nel 2003 e la seconda nel 2006.
Altre due sono arrivate, come già sapete, sabato a pranzo.
Metto le mani avanti: recensire cibo non è il mio mestiere, quindi prendete quella che segue con tutte le riserve del caso.
Prendiamo posto e scegliamo prima l'acqua, poi il vino.
Diciamo subito che la lista delle acque minerali è un insulto al buon senso, ma sai bene che le stelle te le faranno pagare un po' ovunque, acqua compresa. Quindi, inutile star qua a lamentarsi.
Abbiamo scelto un Vintage Collection Satèn di
Ca' del Bosco e quindi il menu "Carpe Diem".
Il personale di sala è presente e professionale, ma sorridente e cordiale.
Dopo averci chiesto se fossimo intolleranti o allergici a qualche cibo o se ci fosse qualcosa che non fosse di nostro gradimento, abbiamo iniziato con il giro di appetizers, fra cui gnocco fritto di grano arso con ripieno di burrata e ovviamente prosciutto crudo, focaccine liguri buonissime, e delicatissimi macaron al foie gras.
Quindi abbiamo iniziato a fare sul serio, con l'ostrica in salsa al ravanello. Abbinamento un po' azzardato, in quanto il ravanello sovrasta un po' il sapore dell'ostrica, ma il risultato non è affatto malvagio. E ve lo dice una che non mangia ravanelli.
Tartare di tonno, lime, acqua di mozzarella e cocco
Il lime con il tonno crudo si sposa alla perfezione, il cocco - appena accennato - si sente solo in sottofondo e l'abbinamento con l'acqua di mozzarella, che viene versata nel piatto quando arriva al tavolo, lo rende un piatto dove i sapori si amalgamano magnificamente. Fantastico.
“Pasta e fiori”, crema fresca di capra, crudo di seppie, colatura di insalata di pomodoro
Oltre alla bellezza cromatica del piatto (anche qua la colatura di pomodoro verrà versata al tavolo) ci troviamo di fronte ad un tripudio di sapori dove la crema fresca di capra viene smorzata dalla delicatezza della seppia cruda - e tenerissima - completata dal pomodoro. Il risultato, che ve lo dico a fare, è ottimo.
Spezzatino di pesce, crema tiepida di zucchine alla scapece
Qua ho fatto ridere i camerieri facendo notare che l'aspetto del piatto fosse quantomeno inquietante. Ma solo l'aspetto, perché lo spezzatino, dove ogni tipo di pesce (cozze, spada, gamberi, rombo e non mi sbilancio oltre in quanto inizierei a citare pesci ad minchiam) era cotto alla perfezione, mantenendo intatte le sue caratteristiche. La schiumetta aveva il profumo (e il sapore) del mare, e la crema di zucchine si abbinava alla perfezione.
Pre dessert
Trattasi di una rivisitazione della mia amata Piña Colada racchiusa in un bicchierino di cioccolato bianco. Quindi funziona al contrario di un mangia & bevi. Prima bevi (il contenuto) poi mangi (il bicchiere). E no, la cannuccia non è commestibile.
L'amore al primo sorso.
Lo so, questa foto non è AFFATTO seria.
Ma immagino sappiate tutti quanto io NON sia golosa. E quando è arrivato questo bunet rielaborato in chiave napoletana, appoggiato su una crema di caramello e rhum, con sfoglietta alla cannella, ecco. Io l'ho assalito. Salvo poi ricordarmi che dovevo "documentare" il pranzo. Quindi, non potendo dire che la foto è venuta mossa, vi dico che è venuta moRsa.
E niente. Voi non potete capire. O forse sì.
Il caffè, accompagnato dalla "piccola" pasticceria (la sfogliatella napoletana di piccolo non aveva nulla), che non abbiamo nemmeno terminato, l'abbiamo preso in giardino. E, al momento di andare a pagare ci siamo trovate davanti Cannavacciuolo in persona, che ci ha stretto la mano chiedendoci se fosse andato tutto bene. Ovviamente sì, ma, metti caso che no, chi oserebbe dirgli di no? Gli ho detto che ero lì per festeggiare il mio compleanno e mi ha fatto gli auguri, stringendomi nuovamente la mano. Che, si sa, basta poco per farmi contenta.
Per smaltire il pranzo, sulla strada del ritorno ci siamo fermate all'outlet di Vicolungo, dove le boutiques di Ixos e Liviana Conti ci regalano sempre tante soddisfazioni.
Perchè si sa, non di solo pane vive l'uomo.
Figurati la donna.