Giovedì.
Siamo quasi alla fine di questo festival, e io inizio ad essere un po' confusa. Forse la differenza nemmeno si nota, in fondo.
Giornata di film un po'... meh, come tutto il festival, per quanto mi riguarda.
Per caso ho già detto che la direzione di Virzì non mi convince?
Comunque, siamo alle battute finali. Ho in programma la visione di altri 9 film, e poi, anche per quest'anno, la pratica TFF può considerarsi archiviata.
Ma veniamo al riassunto di oggi.
LUTON (Grecia 2013)
La vita di tre persone che apparentemente non hanno nulla in comune si sussegue in una vuota routine: un uomo di mezza età titolare di un emporio, che lavora svogliatamente e che come regalo di compleanno riceve dalla moglie una scopata sul tavolo della sala da pranzo, uno studente apatico oppresso da una coppia di genitori (separati?) borghesi e autoritari, un'avvocato non troppo in carriera smaniosa di cazzo, dialoghi ridotti all'osso, come ridotti all'osso sono i rapporti umani dei protagonisti. Sembra non succedere nulla fino agli ultimi agghiaccianti cinque minuti, in cui si scopre che i tre, anche se non si capisce come quando e perché si sono incontrati, qualcosa in comune purtroppo ce l'hanno, e il film assume una nuova - terrificante - luce.
Dopo l'annichilente Miss Violence, un'altra pellicola greca che riesce a disturbare.
Se il risultato della crisi porta alla realizzazione di film interessanti, ben venga.
Dopo l'annichilente Miss Violence, un'altra pellicola greca che riesce a disturbare.
Se il risultato della crisi porta alla realizzazione di film interessanti, ben venga.
A WOMAN AND WAR (Giappone 2013)
Credo sia, al momento, il peggior film visto dall'inizio del festival. E, a giudicare dalla gente che ha abbandonato la sala prima della fine, non devo essere l'unica a pensarla così.
Siamo in Giappone, verso la fine della seconda guerra mondiale, dove si incrociano i destini di una prostituta frigida ma alla costante ricerca del piacere, di un poeta che decide di vivere con la donna fino alla fine della guerra, considerandola la sua bambola e di un reduce, sposato e padre di famiglia, tornato dalla guerra senza un braccio.
Io non so se all'epoca il Giappone sia stato bombardato col viagra, resta il fatto che in questo film il sesso la fa da padrone, al punto da infastidire. E/O disturbare, a seconda dei casi.
Il reduce, da quando è tornato, ha dei problemi sessuali, ma scoprirà, tentando inutilmente di difendere una donna che sta per essere stuprata da tre uomini, di eccitarsi con la violenza.
Dopo aver allontanato moglie e figlio da casa, col pretesto di proteggerli, inizierà a stuprare e uccidere giovani donne, attirandole con l'inganno di poter acquistare riso a prezzo scontato.
Le scene di stupro non vengono risparmiate e alla terza inizi ad averne i coglioni pieni, tanto sai già che quando lo stupratore monco incontrerà la puttana frigida, lei godrà come non mai.
Quando lei, nella fase post orgasmica gli proporrà "facciamolo ancora" lui, sdegnato, le risponderà "tu sei matta!".
E certo, perché tu invece sei normale.
Nessun sentimento, nessuna morale.
INSIDE LLEWYN DAVIS (USA 2013)
L'ultimo film dei fratelli Coen è un film... carino.
Ma, essendo dei fratelli Coen, per me carino non è sufficiente.
Una settimana circolare (il film inizia dove finisce, o viceversa) nella vita di Llewyn Davis, cantante folk spiantato nel Greenwich Village all'inizio degli anni 60, alla ricerca di un successo che sembra non arrivare mai, attraverso una serie di eventi, incontri e scontri in cui esce sempre sconfitto. Non ha una casa e dorme sul divano di chi è disposto ad ospitarlo, il suo discografico non lo paga, i suoi amici Jean e Jim lo trattano con sufficienza, soprattutto Jean (Carey gattamorta Mulligan), che gli rivela di essere incinta, costringendolo a pagarle l'aborto, la sorella lo reputa un fallito, come il viscido proprietario del locale in cui si esibisce.
Lui galleggia fra frustrazione e sensi di colpa, e sembra quasi che gli piaccia.
L'ironia per fortuna non manca, almeno quella. Bella fotografia, e, mi piacerebbe poter dire altrettanto della colonna sonora. Ma la musica folk mi provoca attacchi narcolettici.
Poteva esser peggio. Poteva essere country.
Però il gatto è bravissimo.
LA PLAGA (Spagna 2013)
Ambientato nella provincia catalana, il film d'esordio di Neus Ballùs ci mostra l'esistenza di cinque personaggi che vivono la loro quotidianità, in un paesaggio desolato. E desolante.
Laurie è un lottatore moldavo che lavora per Raul, un coltivatore le cui piantagioni vengono attaccate dalla mosca bianca, Maria è un'anziana signora che viene ricoverata in un ospizio, dove verrà accudita dalla generosa Rose, ragazza filippina che lavora nella struttura. Sulla strada che costeggia i campi di Raul, che Rose percorre quotidianamente per recarsi al lavoro, c'è Maribel, prostituta senza clienti..
E niente.
Il cinema che racconta la vita. Quando la vita non ha niente da dire.
LA DANZA DE LA REALIDAD (Cile/Francia 2013)
Alejandro Jodorowsky torna al cinema dopo 23 anni.
Se ne sentiva il bisogno? Per quanto mi riguarda anche no.
Anche qua l'inizio lasciava ben sperare, ma dopo tre minuti ho capito che avrei sofferto per due ore.
Una sorta di autobiografia visionaria (molto visionaria, pure troppo) e compiaciuta che, più che l'infanzia del piccolo Alejandro, spesso affiancato dallo Jodorowsky contemporaneo che dispensa perle di saggezza come un demiurgo dei poveri, racconta la vita del padre Jamie (interpretato dal figlio di Jodorowsky, ma nel cast il regista deve aver infilato più o meno tutta la famiglia), un ebreo ateo e comunista affascinato dalla figura di Stalin, sposato ad una donna che si esprime solo attraverso gorgheggi lirici, convinta che il figlio sia la reincarnazione del padre e bla bla bla.
Ci sarà senz'altro chi griderà al capolavoro.
No, non guardate me.
Grottesco e ridondante, con alcune scene che sfiorano inutilmente il ridicolo.
Ma, essendo dei fratelli Coen, per me carino non è sufficiente.
Una settimana circolare (il film inizia dove finisce, o viceversa) nella vita di Llewyn Davis, cantante folk spiantato nel Greenwich Village all'inizio degli anni 60, alla ricerca di un successo che sembra non arrivare mai, attraverso una serie di eventi, incontri e scontri in cui esce sempre sconfitto. Non ha una casa e dorme sul divano di chi è disposto ad ospitarlo, il suo discografico non lo paga, i suoi amici Jean e Jim lo trattano con sufficienza, soprattutto Jean (Carey gattamorta Mulligan), che gli rivela di essere incinta, costringendolo a pagarle l'aborto, la sorella lo reputa un fallito, come il viscido proprietario del locale in cui si esibisce.
Lui galleggia fra frustrazione e sensi di colpa, e sembra quasi che gli piaccia.
L'ironia per fortuna non manca, almeno quella. Bella fotografia, e, mi piacerebbe poter dire altrettanto della colonna sonora. Ma la musica folk mi provoca attacchi narcolettici.
Poteva esser peggio. Poteva essere country.
Però il gatto è bravissimo.
LA PLAGA (Spagna 2013)
Ambientato nella provincia catalana, il film d'esordio di Neus Ballùs ci mostra l'esistenza di cinque personaggi che vivono la loro quotidianità, in un paesaggio desolato. E desolante.
Laurie è un lottatore moldavo che lavora per Raul, un coltivatore le cui piantagioni vengono attaccate dalla mosca bianca, Maria è un'anziana signora che viene ricoverata in un ospizio, dove verrà accudita dalla generosa Rose, ragazza filippina che lavora nella struttura. Sulla strada che costeggia i campi di Raul, che Rose percorre quotidianamente per recarsi al lavoro, c'è Maribel, prostituta senza clienti..
E niente.
Il cinema che racconta la vita. Quando la vita non ha niente da dire.
LA DANZA DE LA REALIDAD (Cile/Francia 2013)
Alejandro Jodorowsky torna al cinema dopo 23 anni.
Se ne sentiva il bisogno? Per quanto mi riguarda anche no.
Anche qua l'inizio lasciava ben sperare, ma dopo tre minuti ho capito che avrei sofferto per due ore.
Una sorta di autobiografia visionaria (molto visionaria, pure troppo) e compiaciuta che, più che l'infanzia del piccolo Alejandro, spesso affiancato dallo Jodorowsky contemporaneo che dispensa perle di saggezza come un demiurgo dei poveri, racconta la vita del padre Jamie (interpretato dal figlio di Jodorowsky, ma nel cast il regista deve aver infilato più o meno tutta la famiglia), un ebreo ateo e comunista affascinato dalla figura di Stalin, sposato ad una donna che si esprime solo attraverso gorgheggi lirici, convinta che il figlio sia la reincarnazione del padre e bla bla bla.
Ci sarà senz'altro chi griderà al capolavoro.
No, non guardate me.
Grottesco e ridondante, con alcune scene che sfiorano inutilmente il ridicolo.