Che io me la ricordo quella mattina che, girando nella mia solita via dietro l’ufficio trovai la strada sbarrata per delle imprecisate “riprese cinematografiche”, che mi costrinsero ad un tortuoso giro dell’oca facendomi entrare in ritardo. Che, oltre a indispormi verso l’umanità per il resto della giornata, mi fecero sorgere spontanea la domanda: “Ma che cazzo di film devono girare in questa via di merda?”.Ieri sera l’ho scoperto: “Pietro” di Daniele Gaglianone, unico film italiano in concorso all’ultimo festival di Locarno, che, pare, abbia ricevuto un’accoglienza calorosa.Il film, interamente girato a Torino, nella zone attorno al mio ufficio, ci parla appunto di Pietro, che si guadagna da vivere distribuendo volantini e vive in un alloggio fatiscente col fratello Francis, tossicodipendente fastidioso, con la tipica parlata da tamarro torinese (avete presente il vecchio personaggio della Littizzetto, Minchia Sabry? Ecco, la sua versione maschile, ma meno simpatica) che frequenta un locale pieno di altri tamarri solo un po’ meno tossici che si divertono come dei fessi a prendere per il culo il povero Pietro. Che, quando conoscerà una ragazza “assunta” per fare il suo stesso lavoro, capirà che oltre a quella vita fatta di niente c’è dell’altro.
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