Un pugno nello stomaco.
O, se preferite, una manganellata.
Il film di Daniele Vicari, visto ieri sera in anteprima alla presenza del regista e del produttore, Domenico Procacci, è un film duro, per chi a Genova, in occasione del G8 del 2001, c’era e per chi non c’è stato, che si basa sugli atti dei processi collegati ai fatti della Diaz e di Bolzaneto, raccontando la storia partendo da un episodio “marginale”: l’accerchiamento di una pattuglia della polizia da parte di alcuni manifestanti davanti alla scuola Diaz, alcune ore prima dell’irruzione.
Il film non si schiera, e non prende posizione, anche se facilmente si presterà a facili strumentalizzazioni.
Il regista, come spiegherà lui stesso alla fine del film, vuole fare il punto su come, in uno stato che si dichiara democratico, siano stati negati totalmente i più elementari diritti umani. O, usando la definizione di Amnesty International, “la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”.
Io ho avuto i brividi per quasi tutta la durata del film.
Da vedere.
Assolutamente.
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