9 set 2016

The Zero Theorem
(una recensione che vale zero.
Al 100%)

Senti Terry Gilliam e pensi immediatamente a Brazil, pensi a "And finally, a wafer thin mint...", pensi a "...due a punta, due piatte e un cartoccio di ghiaia per il mio bambino!..." poi, corre l'anno 2013, e senti che Terry Gilliam presenta il suo ultimo film a Venezia. E aspetti fiduciosa.
Ma, complice la solita distribuzione a cazzo col contagocce, The Zero Theorem arriva in sala, in Italia, giusto tre anni dopo. Nel frattempo hai letto cose qua e là, e a "futuro distopico" ti son venute le bolle. Ma il cinema Massimo te lo propone una sera in versione originale,e tu, nonostante il futuro distopico (che nella stragrande maggioranza dei casi è pure dispotico) fai un eccezione e vai al cinema, portando in tasca il tuo sacchettino gonfio di pregiudizi, anche perché l'ultimo lavoro di Gilliam che hai visto era quel Parnassus tristemente rimaneggiato a seguito della prematura morte di Heath Ledger, avenuta durante una pausa delle riprese, e ricordi che eri uscita dalla sala non molto convinta.


Siamo in un posto coloratissimo e caotico che potrebbe ricordare Londra solo per i double-decker, e Christoph Waltz è Qohen Leth (Q - no U - O-H-E-N): paranoico, misantropo, asociale, vive in una chiesa sconsacrata, lavora per la multinazionale Mancom alla risoluzione, assieme a tanti altri, del Teorema Zero. Cerca invano di affermare la sua instabilità mentale per ottenere il permesso di lavorare da casa, permesso che gli verrà accordato soltanto dopo un incontro fortuito con Management, il capo supremo di Mancom, interpretato da Matt Damon in un'inedita versione Karl Lagerfeld.        
Questo desiderio deriva dal fatto che Qohen (Q - no U - O-H-E-N) deve essere a casa per rispondere ad una chiamata telefonica che aspetta da sempre, convinto che quella telefonata sia l'unico modo per trovare le risposte a tutti i suoi perché (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, ma, soprattutto, troveremo coda?).
La domanda, se l'avesse davvero fatta Qohen, sarebbe la stessa, perché lui, perennemente pervaso di pessimismo e fastidio, parla in prima persona plurale, e quando dice "moriremo tutti", non sta pensando (anche) a te, ma solo a sé stesso. 
Gli verrà affiancata un'intelligenza artificiale, con le sembianze della Dott.ssa Shrink-Rom (Tilda Swinton, nell'ennesimo ruolo eccessivamente caricaturale) e il suo lavoro, verrà interrotto dalle continue visite della bellissima Bainsley (Mélanie Thierry) e da Bob, talentuoso figlio ribelle di Management, che lo metterà in guardia sulla ragazza.
E mentre Qhoen tenta invano di risolvere il Teorema Zero, ma ogni volta “Zero è uguale al 93,789 per cento. Zero deve essere uguale al cento per cento”, le cose precipitano, e la realtà (sur)reale si mischia alla realtà virtuale, tra tramonti da cartolina e buchi neri, sotto il perenne controllo delle telecamere di Management.

The Zero Theorem è un film forse troppo ambizioso e spesso imperfetto, che sembra mettere troppa carne al fuoco, dimenticandosi di toglierla dalla griglia al momento giusto. Ma è innegabile che sia intriso di una sorta di disperazione pop, e che abbia un fascino disperato e decadente.


16 commenti:

  1. Ce l'ho in attesa da tempo, ma temo l'effetto Tideland. E molto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non posso dire nulla, tideland non l'ho visto. Però io ero partita pensando di patirlo e farmi due palle tanto, e invece mi ha sorpreso positivamente!

      Elimina
  2. L'ho visto un secolo fa,manco me lo ricordo più tanto,non mi era dispiaciuto ma mi ricordo una sensazione di *maccheccazzo*sul finale.
    Waltz bravo però!
    Tideland l'ho odiato dalle budella proprio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. A me non è dispiaciuto affatto, mi ha dato l'impressione di una bella favola triste.

      Elimina
  3. Mi sa che leggendo la tua recensione riesco a farmelo piacere un po' di più (ma giusto un po' eh...;-)) di quanto non l'abbia gradito ieri sera.
    Finora resta per me uno dei film di Gilliam che mi hanno convinto meno, ma non posso che darti ragione nella tua frase conclusiva.
    Insomma qualcosa di buono lo si trova, anche quando la pietanza bruciacchiata avrebbe potuto essere più gustosa. Speriamo il prossimo piatto gli riesca meglio!;-)

    Roberto

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Beh, se sono riuscita a fartelo piacere un po' di più mi fa piacere!

      Elimina
  4. Tideland era un film fantastico, trattato malissimo dalla nostra distribuzione proprio come questo "The Zero Theroem". Che è un "Brazil" in piccolo anche nel budget, con "Creep" dei Radiohead come canzone tormentone, ma sempre in chiave malinconica. Film piccolino, mionore si dice, ma Terry Gilliam è sempre grandissimo, grazie per aver usato nel tuo commento l'immagine con i mille divieti al parco, tipico umorismo alla Gilliam. Basta, quando si parla di Terry sono schifosamente di parte, sparo cuoricini dagli occhi ;-) Cheers

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Come ho detto anche a Ford Tideland non l'ho visto, quindi non posso esprimermi. La versione di creep della Souza è davvero malinconica e i divieti nel parco tanto assurti quanti fantastici! E, anche se non sono di parte come te nei confrinti di Gilliam, il film l'ho apprezzato ugualmente!

      Elimina
  5. film che mi incuriosisce ma temo
    di patire parecchio ...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Partivo con lo stesso timore, e invece... :)

      Elimina
  6. Ne ho sentito parlare, ma Terry Gilliam non mi piace tanto, comunque se capita lo vedrò perché un po' mi incuriosisce, davvero pochissimo in verità ma chissà potrebbe sorprendere o forse no, non importa ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non mi reputo una fan, ma ha in passato geniale. Questo ero curiosa di vederlo da quando uscì a Venezia, e alla fine mi è piaciuto.

      Elimina
  7. Per quanto imperfetto e non del tutto riuscito, anche a me nella sua follia non è dispiaciuto affatto...

    RispondiElimina
  8. Credo che il film ci sia piaciuto quasi allo stesso modo.
    Ma te l'hai visto su grande schermo e un film come questo su grande schermo rende tanto.
    Forse io ho perso troppo lato estetico e mi sono quindi più soffermato su quello dei contenuti.
    E purtroppo mi sembra un film che vola troppo alto con ali un pò posticce.
    Ma rimane personale, genuino, coraggioso.
    E sì, la Swinton ormai fa sempre sti ruoli, ma perchè???

    RispondiElimina
    Risposte
    1. no, comunque non mi arrivano più le notifiche dei messaggi via mail, così se qualcuno commenta non me ne accorgo!
      Però direi che siamo d'accordo, il tuo "vola alto" e il mio "troppa carne al fuoco" stanno a significare la stessa cosa, un film ambizioso che forse si perde un po' per strada, ma che comunque riesce lo stesso a convincere.

      Elimina